Cartabia e la crisi di governo: il destino delle riforme della giustizia
In caso di caduta del governo Draghi e addirittura di ritorno alle urne, l'esecutivo potrebbe essere in grado di portare a termine la riforma del processo penale e di quello civile. Rischiano la giustizia tributaria e l'ordinamento giudiziario
Impegno e speranza. Dopo la crisi di governo, la Guardasigilli Marta Cartabia non abbandona il suo tradizionale riserbo, ma da fonti di via Arenula sono queste le due parole d’ordine che trapelano. Impegno, quello della ministra e del suo ufficio legislativo, nel chiudere nel più breve tempo possibile l’elaborazione dei decreti attuativi delle riforme del processo penale e del processo civile, da approvare il primo entro la fine di ottobre, il secondo entro la fine dell’anno. Due milestone, due pilastri fondamentali previsti nel Pnrr. A questo si lega la speranza della ministra, ex presidente della Corte costituzionale, e cioè che le forze politiche si rendano conto della necessità che il paese ha in questo momento di rispettare gli impegni presi con l’Unione europea, che hanno scadenze ben precise e dai quali dipende l’erogazione dei finanziamenti di Next Generation Eu.
Quello della giustizia costituirebbe uno dei fronti più caldi in caso di caduta del governo Draghi e addirittura di ritorno alle urne. Gli impegni presi dal nostro paese con la Commissione europea sono ambiziosissimi: ridurre nei prossimi cinque anni del 40 per cento i tempi del processo civile e del 25 per cento quelli del processo penale, così da restituire dignità al sistema giudiziario italiano, la cui inefficienza è da decenni certificata da tutte le classifiche internazionali.
I primi passi di questa svolta epocale sono stati compiuti lo scorso anno, con l’approvazione in Parlamento delle leggi delega del processo penale e di quello civile (oltre al via libera all’assunzione di circa 22mila funzionari, la maggior parte dei quali – 16mila – destinati all’ufficio del processo). Stabilita l’ampia cornice di intervento (in primis accelerazione dei processi e digitalizzazione), ora tocca dipingere il quadro, piuttosto complesso. Basti pensare che la ministra Cartabia ha costituito sei gruppi di lavoro per l’elaborazione dei decreti legislativi nel settore penale e altri sette gruppi per il civile.
Rispondendo a un question time alla Camera, lo scorso marzo, la ministra Cartabia ha dichiarato che i decreti legislativi di attuazione delle deleghe arriveranno all’esame del Parlamento “prima dell’estate”. Fonti del ministero confermano l’intenzione della Guardasigilli di presentare gli schemi dei decreti legislativi nelle prossime settimane. Ma cosa accadrebbe in caso di caduta del governo Draghi?
Le leggi approvate dal Parlamento prevedono che gli schemi dei decreti legislativi adottati dal governo debbano essere sottoposti alle commissioni parlamentari competenti per ottenere un loro parere non vincolante. Se il parere non viene espresso entro sessanta giorni, i decreti possono essere comunque emanati. Nel caso in cui Draghi confermasse le sue dimissioni, il presidente della Repubblica, inviterebbe l’esecutivo a “curare il disbrigo degli affari correnti”. Secondo diversi costituzionalisti, alla categoria “affari correnti” andrebbe ricondotta anche l’adozione di decreti legislativi, soprattutto nel caso in cui le deleghe siano in scadenza. Il governo, dunque, nonostante gli scossoni politici, potrebbe portare a compimento il lungo lavoro di elaborazione delle riforme del processo penale e di quello civile.
Diverso è il discorso della riforma della giustizia tributaria, altra riforma considerata essenziale nell’ambito del Pnrr, in virtù del suo impatto sul sistema giudiziario e anche del suo peso sul piano economico. Il ministero della Giustizia e quello dell’Economia e delle Finanze hanno elaborato un disegno di legge di riforma, già incardinato in Parlamento, da approvare entro la fine dell’anno come previsto dal Pnrr. Un obiettivo che, in caso di crisi di governo, andrebbe a naufragare. Per quanto riguarda, infine, l’emanazione dei decreti attuativi della riforma dell’ordinamento giudiziario recentemente approvata, la scadenza si colloca a giugno 2023. In questo caso, potrebbe essere un nuovo governo ad adottare (o a non adottare) i decreti legislativi previsti.
L'editoriale del direttore