Il ministro della Giustizia Marta Cartabia (foto Ansa)

Cartabia e il buon compromesso fra giacobini e ultragarantisti

Guido Salvini*

Tempi e modalità processuali, diritto all’oblio, ma non solo. La riforma della giustizia è migliorabile ma coraggiosa

Ho pensato sin dalla sua presentazione che la riforma Cartabia andasse incoraggiata e non vilipesa. Certamente non era una proposta perfetta, nessuna lo è, ma è stata studiata e rielaborata con il contributo di tutti e in questo senso è una vittoria per tutti. Andava incoraggiata e migliorata non solo perché facilita l’accesso ai Fondi europei ma soprattutto perché ha affermato, dopo molto tempo, il diritto della politica a intervenire nel campo della giustizia, ascoltando, come è giusto, anche l’Anm ma senza riconoscerle diritti di veto. Le incursioni mediatiche dei più noti magistrati inquirenti, sono sempre loro a parlare, erano in larga parte sopra le righe. Molti dati declamati sugli organi di stampa erano truccati e nascondevano il desiderio che non si facesse nulla.

Le interviste a tutta pagina secondo cui i processi di mafia sarebbero evaporati in grado di appello erano in gran parte allarmistiche. I processi per fatti di mafia sono e restano in altissima percentuale con imputati detenuti. Quindi i tempi che contano non sono quelli della prescrizione ma quelli della custodia cautelare che normalmente tutte le Corti d’appello rispettano fissando, anche con priorità, i processi che portano al traino anche i coimputati non detenuti. Per il delitto di associazione mafiosa già il primo grado prevede una prescrizione di 18 anni che, in caso di atti interruttivi, un interrogatorio ad esempio, può ripartire da zero. Due anni dal primo grado all’appello, soprattutto sempre prorogabili dalla corte se il processo è complesso, possono decisamente bastare. Comunque, con le limature apportate con gli emendamenti e la previsione di un ampio periodo transitorio, sino al gennaio 2025, ogni  difficoltà  ragionevolmente prevedibile sembra superata. Resta da mantenere la promessa di un adeguamento del personale amministrativo e delle strutture, anche delle tecnologie digitali. Non dimenticando comunque, quanto ai magistrati, che il loro numero è bassissimo, il più basso d’Europa, defalcato tra l’altro nel segmento più critico, quello delle Corti d’appello, dai pensionamenti anticipati imposti dalla riforma Renzi. Anche se i magistrati non godono più di molta popolarità, accusati tra l’altro di non lavorare, il loro numero deve essere drasticamente aumentato, almeno di 2.000-3.000 unità tra giudici di carriera e onorari. E si potrebbe cominciare a pensare a concorsi riservati ad avvocati con una affidabile esperienza di carriera alle spalle, contribuendo così anche a superare gli steccati, anche mentali, tra le due categorie.

Alla fine ne è venuto fuori un testo che non si è lasciato spaventare dagli scenari apocalittici evocati dai giacobini senza cedere nello stesso tempo alle istanze ultragarantistiche per cui le uniche indagini buone sono quelle che non si fanno. Forse né gli uni né gli altri, giacobini e ultragarantisti, hanno mai pensato al fatto che essi in realtà si sostengono l’un l’altro, rendendo impossibile qualsiasi cambiamento. Vi sono stati molti passi avanti: in tema di riti alternativi in cui forse si poteva incidere anche un po’ di più, allargando di più il patteggiamento, subordinandolo magari a qualche forma di riparazione. Ancora passi avanti in tema di funzione di controllo del gip sulla corretta e tempestiva iscrizione nel registro notizie di reato e sulla durata delle indagini, in tema di nuovi criteri per l’archiviazione, di aumento dei reati procedibili a querela e di effettivo riconoscimento ed esecuzione delle sentenze della Cedu. E, a lato della riforma, la proposta che limita le conferenze stampa dei pm e della Polizia giudiziaria in cui, in genere dopo gli arresti, gli indagati sono già dipinti come colpevoli. Nel testo approvato alla Camera c’è anche una piccola gemma. Il diritto all’oblio, cioè il diritto del cittadino a vedere “deindicizzati” da Internet gli articoli e i riferimenti obsoleti a processi nei quali era imputato ma in seguito è stato assolto. Un tempo le “cattive notizie” duravano un giorno, quello in cui il giornale veniva venduto nelle edicole. Ma oggi, anche quando sono superate dai fatti, sul web si replicano all’infinito e l’imputato rimane tale per l’eternità. Per fortuna questa forma di gogna dovrebbe finire.

La questione della improcedibilità resta aperta. E’ meglio una prescrizione sostanziale o una processuale, che suscita parecchi dubbi ? Cosa potrà dire la Corte costituzionale? Ma c’è tempo per riparare e migliorare. La riforma  è un work in progress ed è comunque importante che sia partita. Per quanto concerne il processo di appello, ritenuto dai magistrati la secca più pericolosa, è purtroppo scomparsa l’ipotesi di introdurre il giudice monocratico di appello che avrebbe potuto decidere sui processi giudicati anche in primo grado con rito monocratico. In questo modo, rinunciando alla collegialità in processi in cui peraltro non era prevista nemmeno sin dalla sua fase più importante, sarebbe stato possibile utilizzare al meglio le energie disponibili e aumentare il numero di processi definiti. Ma forse è una scelta solo rinviata. Ora l’attenzione dovrebbe passare al primo grado per evitare il paradosso per cui i gradi di appello e di Cassazione hanno una durata massima prestabilita ma il primo grado può durare 10 anni e anche più.

E’ stato giustamente ampliata la platea dei reati che, dopo la fine delle indagini, proseguono più rapidamente con la citazione diretta a giudizio senza la stretta dell’udienza preliminare, ricomprendendovi quelli puniti sino a sei anni. E’ prevista per essi un’udienza predibattimentale in camera di consiglio, una sorta di udienza di prima comparizione, in cui il giudice, fungendo da filtro, dovrà valutare se, sulla base degli atti portati del pm, vi siano le condizioni per una sentenza di non luogo a procedere perché gli elementi non consentono una ragionevole previsione di condanna e in cui comunque potranno essere chiesti i riti alternativi come il patteggiamento o il giudizio abbreviato.

Forse si poteva fare anche di più. Il sistema non può sopportare quelli che di norma sono quattro gradi di giudizio. Uno è l’udienza preliminare che, secondo il codice, doveva essere fissata entro cinque giorni dal deposito della richiesta di rinvio a giudizio mentre il gup doveva essere un punto di passaggio senza arretrato. Ma non è così. In realtà i fascicoli giacciono inevitabilmente in attesa di fissazione per parecchi mesi e la fase che intercorre tra la richiesta e la decisione del gup allunga il processo di un anno e anche più. In questo modo si forma un autentico imbuto anche per la disponibilità limitata dei pm e del personale. I processi si accumulano già nella fase iniziale, nelle stanze dei gup sommerse dai fascicoli, talvolta arrivando prossimi alla prescrizione e consegnando al tribunale di primo grado reati già vecchi di 4, 5, 6 anni. 

 

Si può quindi pensare a un’abolizione dell’udienza preliminare trasferendo tutti i reati sulla nuova udienza di comparizione in cui chiedere i riti alternativi e in cui vi sarebbe sempre, e più accentuato con la riforma, lo sfoltimento dei processi inutili e cioè quelli in cui c’è carenza di interesse a procedere perché sarebbe difficile pervenire a una condanna o in cui l’imputato, con i suoi comportamenti riparatori, si è “meritato” un proscioglimento. Questa modifica consentirebbe tra l’altro, eliminando la funzione gup, di rafforzare anche numericamente quella del gip cui è affidato quel decisivo controllo sulle richieste del pm, intercettazioni, misure cautelari, sequestri preventivi, che oggi è spesso difficile anche perché le due funzioni di gip e gup si cumulano sullo stesso giudice. C’è tempo per pensarci dato che la riforma è un laboratorio e non un punto di arrivo.
Infine un’annotazione solo apparentemente slegata dall’approvazione della riforma. Indagare il  procuratore capo di Milano equivale, volendo usare una metafora  teologica, a trascinare Dio davanti al giudizio universale. Quello che gli si rimprovera è in sostanza di aver insistito, con i suoi sostituti, oltre ogni limite consentito, in una indagine che sinora avrebbe avuto come unico risultato quello di mettere in dubbio inutilmente l’integrità di un presidente di sezione del tribunale e, in più, quello di far perdere al nostro paese un’importante risorsa energetica. Non so se questo sia una responsabilità penale, saranno le indagini a Brescia a verificarlo. Ma il solo fatto che una verifica sia possibile significa che anche nella magistratura nessuno è più irresponsabile, forte della sua posizione, e anche questo è un segnale di cambiamento.
Per finire. Sono contento per Paolo Storari, e non aggiungo altro.  

 

*magistrato

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