oltre il populismo giudiziario
Quali riforme per una giustizia migliore. Parlano Spataro e Bruti Liberati
No alla demagogia, sì al compromesso sulle “porte girevoli” (purché non sia solo uno slogan). Rinforzare gli organici, rispettare il garantismo della Costituzione, dicono i due decani della magistratura italiana
Prima che un target per ottenere i fondi del Pnrr, in Italia la riforma della giustizia – ampia, incisiva, efficace – è una “questione di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile”. Parole, quelle virgolettate, che il presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano ebbe a pronunciare in un memorabile discorso del 2011. E nell’allocuzione davanti ai grandi elettori, in occasione del secondo insediamento, il capo dello stato Sergio Mattarella ha invocato “profonde riforme” del settore. Su questo e non solo abbiamo interpellato due decani della magistratura italiana.
Per l’ex procuratore della Repubblica di Torino Armando Spataro, oltre quarant’anni con la toga indosso e adesso docente all’Università Statale di Milano, “è importante che qualsiasi riforma resti immune dal populismo, troppo spesso diffuso in materia giudiziaria. Da decenni assistiamo alle iniziative di governi che, non appena si insediano, indipendentemente dal colore politico, indicano nei rispettivi programmi la riforma della giustizia come necessaria e urgente. Nel caso dell’attuale governo, credo che nessuno possa nutrire dubbi sulle qualità del presidente del Consiglio Mario Draghi e del ministro della Giustizia Marta Cartabia. Si sono già attuati diversi passaggi importanti, ho apprezzato, per esempio, la riforma del processo penale così come il provvedimento sulla presunzione di innocenza”.
Qualche nota stonata tra i provvedimenti approvati? “In molti si sono concentrati sulla questione della improcedibilità e della prescrizione, spesso trascurando le numerose misure varate per velocizzare i processi, ma io non ho condiviso l’attribuzione della scelta delle priorità al Parlamento, sia pure secondo criteri generali. Il Csm ha già emesso, negli anni, numerose circolari e direttive sulle priorità al fine di restringere il campo di discrezionalità di procure e presidenti di tribunali, sicché la nuova previsione rischia di alterare il principio della separazione dei poteri. Il Parlamento può prevedere che la scelta delle priorità sia obbligatoria e indicarne le procedure ma la loro selezione compete a procuratori e presidenti di organi giudicanti, non alla maggioranza politica di turno. Ritengo invece inutile la misura secondo la quale, nel richiedere il rinvio a giudizio, il pm, e, nel disporlo, il giudice, debbano prevedere, sulla base degli elementi acquisiti, la ragionevole ipotesi di condanna. In realtà, a me pare più una norma a contenuto lessicale: già adesso il pm deve chiedere il rinvio a giudizio in presenza di elementi di responsabilità sufficienti a sostenere l’accusa in giudizio, insomma deve essere convinto che possa arrivare a condanna”. Secondo i dati forniti dal primo presidente della Cassazione, Pietro Curzio, quasi i due terzi dei fascicoli usciti dalle procure non vanno a giudizio e le condanne per i reati minori (assai diffusi) sono meno del 37 percento. “Sarà vero ma ciò non mi pare rilevante. Non è con un lessico diverso che avremo più condanne a fronte di rinvii a giudizio, pur se occorre certo professionalità e attenzione nel valutare gli elementi di cui si dispone”.
Il governo, con il premier Draghi, intende porre fine alle cosiddette “porte girevoli”. Il Cdm ha approvato gli emendamenti al ddl in discussione in Parlamento: si vieta il ritorno alla giurisdizione per un magistrato eletto (l’approdo sarà fuori ruolo presso il ministero di via Arenula o altre amministrazioni), prevedendo invece un limbo di tre anni per colui che si sia candidato senza essere eletto. La soluzione la convince? “Qualcuno ha persino affermato che si dovrebbe vietare ai magistrati di candidarsi, ma questo non si può perché il diritto di elettorato passivo spetta a tutti i cittadini. Si pone, in effetti, un problema non solo di immagine quando il magistrato, terminato il mandato, rientra alla funzione. Secondo l’articolo 51 della Costituzione, chi è eletto a funzioni pubbliche elettive ha diritto di conservare il suo posto di lavoro. Tuttavia, la soluzione individuata sembra compatibile con la Costituzione poiché il magistrato, esaurita la funzione politica, non cesserebbe di essere tale ma verrebbe adibito a compiti diversi come quelli fuori ruolo. Non potrebbe svolgere insomma funzioni requirenti o giudicanti. E’ un compromesso accettabile perché non si perderebbe il posto di lavoro e si eviterebbe un danno di immagine per l’intera categoria. Faccio notare però che tale problema non riguarda soltanto i magistrati: è normale che prefetti e questori tornino a svolgere i loro compiti dopo la carica politica? Nel passato non lontano alcuni avvocati, diventati poi parlamentari, si sono battuti per l’approvazione di leggi che sarebbero state utili ai loro assistiti in processi in corso ed altri esempi si potrebbero fare”. Lei proporrebbe di impedire agli avvocati eletti in Parlamento di svolgere la loro professione? “Non mi spingerei a tanto, dico però che il problema non riguarda solo i togati”.
Nelle elezioni per il Quirinale, tra un ex magistrato potenziale eletto – Carlo Nordio – e le critiche del M5s al ministro Cartabia per eccesso di garantismo, la giustizia è tornata a farla da padrone. Un tasto dolente? “Sulla candidatura dell’ex magistrato Nordio ho chiarito subito che non avrei proferito una sola parola, e continuo ad astenermi. La giustizia è sempre al centro del dibattito ma non direi che sia stata un tasto dolente nel confronto per il Quirinale. Non credo che abbia influenzato le decisioni che hanno portato alla auspicata rielezione di Sergio Mattarella”. Il capo dello stato, nel suo primo discorso alle Camere, si è soffermato sulla riforma della giustizia, ne ha evidenziato l’urgenza. “La chiediamo tutti, anche noi magistrati, il punto è come attuarla. Il presidente non ha indicato linee guida, non è sceso in dettaglio, non ha parlato per esempio dell’ipotesi scandalosa dell’elezione del Csm per sorteggio, comunque paludato. Io reputo urgente rinforzare gli organici amministrativi ed investire nelle risorse. Le parole del capo dello stato le ho interpretate come un invito ad affrontare la questione delle riforme con spirito costruttivo”.
Tornando al garantismo, un ex premier, Giuseppe Conte, fece discutere quando, in Parlamento, precisò di non essere “né garantista né giustizialista”. Le chiedo, dottor Spataro: la Costituzione è “terza” rispetto a questi due poli? “La Costituzione è garantista, punto. Il giustizialismo è un termine connotato negativamente, è l’atteggiamento di chi vorrebbe condanne a tutti i costi, sempre e comunque. E’ sbagliato contrapporvi il garantismo che è insito nella Costituzione, non solo nell’articolo 111, e in tutti gli ordinamenti democratici. Essere garantisti significa assicurare l’esercizio dei propri diritti a tutti gli imputati, dal peggior mafioso al ladro di biciclette. La Costituzione non è sbilanciata ma è fondata sul garantismo. Il giustizialismo non ha e non deve avere accesso alla Costituzione”. Intanto il M5s deve fare i conti con una sentenza che sospende il ruolo di Conte. Siamo all’invasione di campo della magistratura o c’è qualcosa di patologico nel fatto che si ricorra sistematicamente al giudice per risolvere conflitti interni ai partiti? “Non entro nel merito della vicenda anche perché riguarda il campo della giustizia civile, di cui non ho esperienza. Come dicevo, la Costituzione è fondata sulla tutela di garanzie e diritti, se un cittadino si ritiene leso nei suoi diritti ha la facoltà di adire le vie legali. Tocca poi ai giudici, nei tre gradi di giudizio, valutare la fondatezza di tali rimostranze. Tuttavia, quando ci si lamenta del potere esondante dei magistrati e delle loro presunte invasioni di campo, bisognerebbe porsi il seguente interrogativo: è la magistratura che si allarga o è alla magistratura che si ricorre troppo, persino per risolvere diatribe politiche?”.
Voterà ai referendum sulla giustizia promossi da Lega e Radicali? “Attendo intanto di conoscere il vaglio di ammissibilità perché alcuni quesiti, come quello sulla separazione delle carriere, non mi paiono compatibili con la Costituzione. Sul punto sono certo che voterò contro”. Intende contro l’ipotesi di separare le carriere di magistrati inquirenti e giudicanti... “Esatto. Sono stato tra i primi in Italia, anche in occasione di convegni delle Camere penali molti anni or sono, ad ammonire contro giudizi improvvisati e affrettati. Invitavo tutti a considerare i limiti stringenti, già definiti ex lege, che disciplinano il cambio di funzione. Per esempio, oggi puoi passare dalla funzione requirente a quella giudicante solo se cambi regione, oltre che in presenza di altre condizioni. Dai dati aggiornati, che visiono ogni due anni, emerge chiaramente che i cambi di funzione riguardano un numero irrisorio di casi. E inoltre le risoluzioni europee sono unanimi nella valutazione positiva del sistema italiano, eretto addirittura a modello perché consente, a determinate condizioni, a pm e giudice di cambiare ruolo sviluppando così quella che si chiama ‘cultura giurisdizionale’. Pensare che ciò faciliti l’accoglimento delle richieste del pm da parte del giudice è una sciocchezza assoluta, lo dimostrano del resto le numerose assoluzioni che intervengono a fronte di rinvii a giudizio. Insomma, è un non-problema, spesso strumentalmente messo in campo, addirittura con previsioni di separazione dei Csm, uno per giudici e l’altro per pm”.
A proposito di Csm, l’attuale in scadenza a luglio, il governo Draghi ha approvato anche emendamenti al ddl in discussione in Parlamento relativi alla scelta dei componenti elettivi che tornano a essere trenta: venti togati scelti dai magistrati e dieci dal Parlamento, com’era fino alla riforma del 2002. Il sistema di voto diventa misto: quattordici saranno scelti con il maggioritario basato su collegi binominali, il quindicesimo sarà il terzo più votato da individuare attraverso un calcolo ponderato, i rimanenti cinque saranno scelti tra i giudici con un sistema proporzionale su base nazionale. “Anzitutto, il mio plauso va al ministro Cartabia che si è sempre detta contraria alla vergognosa ipotesi di sorteggio. Nella mia carriera ho fatto anche parte del Csm e ho osservato, anche da quella postazione, il proliferare di tentativi di riforma, tutti originati dal desiderio di sconfiggere il correntismo. Il correntismo in sé è una tendenza che può essere degenerativa, certo, ma non si può eliminare la necessità per chi vota di riconoscersi nel programma di un candidato. Io sono sempre stato per un sistema proporzionale, basato su più collegi territoriali, non un unico nazionale. Quanto alla proposta in questione, vorrei comprenderne bene i contorni. Resto in ogni caso contrario all’istituzione di una pluralità di collegi pari al numero dei candidati da eleggere. Dalla mia esperienza so che si rischierebbe di favorire ancor di più il peso delle correnti o dei potentati locali. Meglio un proporzionale temperato”. Anche in questo meccanismo di voto uno contro l’altro, appare complicato inserire la parità di genere in una professione dove le donne, oggigiorno, sono maggioranza. Come se ne esce? “Ho sempre ritenuto importante coinvolgere di più le donne magistrato nei ruoli di rappresentanza istituzionale e associativa. Il tema è delicato ma non sarei contrario alla previsione di quote ad hoc per garantire parità di genere o significativa presenza di donne in seno al Csm. Dovrebbe essere così anche per i membri laici”. Che mi dice dell’inclusione di avvocati e professori universitari con diritto di voto nei consigli giudiziari? “Il loro coinvolgimento attivo è positivo. Se i membri laici potranno votare anche quando si decidono i pareri sulle progressioni di carriera, sarà un fatto ancor più positivo. Anche in questo caso bisognerebbe pensare a un simmetrico intervento della magistratura, almeno in talune pratiche di competenza dei Consigli forensi a livello distrettuale”.
Che cosa pensa della proposta, avanzata dal presidente della Fondazione Leonardo Luciano Violante, che assegna il giudizio disciplinare a un’alta corte esterna al Csm? “La trovo interessante, poiché questo ipotizzato organismo interverrebbe come giudice di appello e su ricorso degli interessati. Alcuni senatori del Pd hanno già presentato un disegno di legge in proposito. Bisognerebbe scendere in dettaglio per capire le modalità di designazione di chi ne farebbe parte. E’ certo che chi giudica i magistrati ordinari deve aver fatto parte della magistratura stessa o avere esperienza della giustizia ordinaria. Diversamente non si comprenderebbero molti problemi, incluso il fatto che spesso i ritardi nelle decisioni non sono dovuti a colpe dei magistrati ma a carichi incredibili di lavoro e a carenze strutturali di risorse umane e materiali”.
Edmondo Bruti Liberati, già procuratore della Repubblica di Milano e presidente dell’Anm, toga storica di Md, non ci sta a sentir parlare vagamente di “porte girevoli”. “L’espressione ‘porte girevoli’, di per sé, è uno slogan. Se consulta l’Enciclopedia Treccani, vedrà che per ‘slògan’, sostantivo maschile, s’intende una ‘breve frase, incisiva e sintetica, per lo più coniata a fini pubblicitari o di propaganda politica, che, per ottenere un effetto immediato ed essere facilmente memorizzabile, si avvale spesso di accorgimenti ritmici, della rima, di assonanze o allitterazioni’”. D’accordo, procuratore, ma così divaghiamo. Io parlo del premier Draghi e della linea dura contro le “porte girevoli” tra politica e giustizia. “Lo slogan ‘porte girevoli’ mette insieme un problema reale, di agevole soluzione, e un (quasi) non problema, di assai difficile soluzione. Trattare nello stesso modo questioni diverse non è mai ragionevole. Il caso di Catello Maresca è solo l’ultimo di una serie di candidature di magistrati in elezioni amministrative nella stessa sede in cui prestano servizio. Un vuoto normativo che la politica non è stata capace di riempire nonostante ripetute sollecitazioni da parte della stessa Associazione nazionale magistrati. Ho viva memoria di una mia audizione come presidente dell’Anm alla commissione Giustizia della Camera nei primi anni Duemila. Per gli incarichi nelle amministrazioni locali, dai comuni alle regioni, se si ammette la candidatura solo in luoghi territorialmente diversi e lontani da quello ove si è stati magistrati e si prevede in caso di elezione (anche come semplice consigliere o nomina come assessore) la collocazione in aspettativa, la questione si chiude nei fatti. Problema reale e soluzione agevole”.
E dei magistrati eletti in Parlamento? “Candidature ed elezioni al Parlamento rappresentano un (quasi) non problema di alquanto difficile soluzione. In passate legislature è stata significativa la pattuglia di magistrati in Parlamento, equamente divisi tra centrodestra e centrosinistra, anche con personalità di spicco che hanno dato contributi significativi alla legislazione. I tempi sono cambiati anche a causa del sistema elettorale dei ‘nominati’ dagli apparati di partito. Oggi sono pochissimi i magistrati alla Camera e al Senato. E’ bene introdurre più precise incompatibilità, come ha fatto il governo prevedendo, per esempio, che i magistrati che scelgono di candidarsi non potranno farlo nelle regioni in cui hanno esercitato la funzione di giudice o di pm negli anni precedenti. Tuttavia meccanismi che rendano di fatto impossibile la candidatura al Parlamento rischiano di urtare con i princìpi costituzionali. E’ una ben misera concezione della politica e del Parlamento come macchie indelebili di faziosità. Magistrati nei parlamenti nazionali vi sono in tutte le democrazie europee ed altrettanto nel Parlamento europeo. Si introducano incompatibilità e limiti più stringenti ma la questione, non dimentichiamolo, è nelle mani della politica. Si ritiene inopportuna (ed è anche la mia opinione) in questa contingenza storica la presenza di magistrati in Parlamento? La soluzione è semplice: i partiti non li candidino!”.
Lei ha ragione ma la politica sembra vittima e carnefice nel rapporto con lo strapotere giudiziario. Nel suo discorso alle Camere il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a proposito del Csm in scadenza a luglio, ha definito “inimmaginabile” che si possa far tornare al voto i magistrati con le regole vigenti. “La riforma del sistema elettorale del Csm è necessaria perché la legge in vigore, introdotta a suo tempo dal Parlamento nel proposito di eliminare l’influenza delle correnti dei magistrati, ha prodotto esattamente il risultato opposto. Ancora una volta sacrificare sull’altare di uno slogan, in questo caso ‘eliminare l’influenza delle correnti’ impedisce la riflessione razionale. Si arriva all’assurdo della proposta di sorteggio che, anche nella versione cosiddetta ‘temperata’, non è affatto temperato perché cozza non solo con lo spirito, ma già con la univoca dizione dell’articolo 104 della Costituzione: i componenti del Csm ‘sono eletti per due terzi da tutti i magistrati ordinari tra gli appartenenti alle varie categorie’. Bando ai facili slogan e alla demagogia e piuttosto attento studio dei meccanismi dei sistemi elettorali; materia tecnicamente complessa sempre e che non può prescindere dal considerare l’ambito di applicazione. Il Csm attuale termina il suo mandato in estate: vi è tutto il tempo perché si elaborino proposte razionali, le si testi con simulazioni e infine il Parlamento decida a ragion veduta. Nel 1990, in poco più di un mese, il Parlamento approvò una legge che in molti allora ritennero imperfetta ma sempre molto meglio della successiva tuttora in vigore. Elezione del consiglio direttivo di una bocciofila, elezione del parlamento nazionale o di un ente locale, elezione dei componenti togati del Csm: non considerare ampiezza del corpo elettorale e funzioni che l’organo elettivo deve svolgere porta sempre a soluzioni maldestre. E altrettanto non considerare che in qualunque situazione un gruppo di persone si trovi a dover eleggere un numero ristretto di persone si creano al momento o entrano in gioco preesistenti aggregazioni, che si adoperano per sostenere i candidati che ritengono più vicini alle loro idee sulla gestione di quell’organo e più adatti a ricoprire il ruolo”.
Aggregazioni o correnti? “Aggregazioni, associazioni, gruppi di opinione o ‘correnti’, arrivo alla parolaccia. Dice nulla il concetto di ‘formazione sociale’ di cui l’articolo 2 della Costituzione: ‘La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale’? I sistemi elettorali devono mirare a lasciare al singolo elettore ampie possibilità di scelta, ma se pretendono di ignorare l’esistenza dei corpi intermedi creano solo guai. A proposito di magistrati. In tutta Europa esistono associazioni di magistrati, di norma più di una come andando da ovest a est in Portogallo, Spagna, Francia, Germania, Polonia etc. La caratteristica italiana è l’esistenza di una Associazione nazionale che nel tempo si è strutturata come una associazione di associazioni, le quali sono mutate negli anni e stanno mutando. Il gruppo di magistrati, che si è posto in polemica con tutti e ha sostenuto il sorteggio, alle ultime elezioni dell’Anm si è puntualmente costituito in ‘corrente’ e ha partecipato alle elezioni del Comitato direttivo centrale dell’Anm. Una modesta proposta: impostiamo i correttori automatici dei nostri sistemi di scrittura con la sostituzione della parola ‘associazione’ a quella di ‘correnti’ dei magistrati”.
Proporzionale o maggioritario per il Csm? “I ‘pregi’ che si attribuiscono ai sistemi maggioritari nelle elezioni politiche o amministrative sono esattamente ciò che per il Csm si deve cercare di evitare; occorre quindi essere cauti nel ‘giocare’ con varie combinazioni incentrate sul maggioritario. A sistemi che hanno insiti i rischi del notabilato, delle visioni localistiche e delle pratiche di scambio, si contrappongono i sistemi che, operando per la rappresentanza del pluralismo di posizioni culturali e professionali, hanno in sé gli antidoti per quelle derive. Si tratta di operare per valorizzare quegli antidoti. Il pluralismo culturale e professionale caratterizza la magistratura, come qualunque altro gruppo professionale. Nonostante le degenerazioni questo pluralismo è insieme un valore positivo e una realtà che nessuna alchimia elettorale può eliminare. Il proporzionale per liste concorrenti in collegio unico nazionale in passato ha assicurato che nel Csm fossero rappresentati anche gruppi minoritari (nel 1986 un gruppo da poco costituito ebbe un seggio su venti), e con il meccanismo delle preferenze vi sono state non poche sorprese rispetto ai candidati più in vista o più sostenuti dalle dirigenze. E’ vero che le dirigenze dei gruppi formano la lista dei candidati secondo le regole interne, ma nessun apparato potrebbe praticare scelte di esclusione in una lista ampia di venti candidati e l’elettore, che possa esprimere un numero limitato di preferenze, ha un’ampia possibilità di scelta”.
Ma il meccanismo delle liste concorrenti non rischia di essere eccessivamente rigido? “Tale rigidità può essere attenuata in diversi modi: voto singolo trasferibile, panachage, vecchio sistema del Senato (la cosiddetta proposta Silvestri). Oggi la parola ‘proporzionale’ non sembra più bandita e per di più è l’unico sistema che in collegio unico nazionale o in collegi, comunque, molto ampi può assicurare un equilibrio di genere”. Il governo ha approvato un sistema a prevalenza maggioritario basato su collegi binominali. “I sistemi maggioritari, per definizione, impongono ai gruppi che concorrono alle elezioni l’individuazione di candidature ‘secche’ per evitare dispersione di voti e perdita del seggio. Un sistema di tipo maggioritario uninominale per il Csm nel 1972, facendo finta di ignorare l’esistenza delle correnti dell’Anm, assicurò a quella che ottenne circa il quaranta percento dei voti la totalità dei seggi. Nel collegio binominale le associazioni possono decidere di sostenere più di un candidato con la certezza di dividere i voti e di perdere il seggio ovvero concentrare il sostegno su un solo candidato con chances di eleggerlo. Altrettanto il singolo elettore tenderà al voto utile concentrandolo sul candidato che ha effettive chances di elezione. Se queste logiche saranno indotte dal sistema elettorale non si dica poi che non erano prevedibili. Il correttivo proporzionale per cinque posti di giudice è limitato ma comunque opportuno. Il ‘collegamento’ tra candidati è di fatto la proposizione di liste, anche se nel testo si parla di candidature individuali, ma poi per la assegnazione dei seggi si deve far riferimento ai voti ottenuti dai ‘gruppi di candidati collegati’. Il collegio unico nazionale, contrariamente a una diffusa vulgata, può consentire l’elezione di candidati outsider che sulle loro proposte in tema di organizzazione della giustizia possano raccogliere un consenso diffuso. E poi evita logiche di rappresentanza localistica che nel Csm non devono avere spazio. Quale che sia il nuovo sistema elettorale spetterà agli eletti intendere il riferimento ai gruppi che li hanno sostenuti come condivisione di valori e di proposte e non di logiche di potere”.
Ma basterà la riforma del Csm per cambiare il volto della giustizia italiana? “Si dimentica forse che il disegno di legge 2681 in discussione alla Camera è dedicato alla riforma dell’ordinamento giudiziario, cioè di quelle disposizioni che reggono l’organizzazione della giustizia e il cui fine, nel quadro dei princìpi costituzionali, è quello di assicurare un servizio giustizia più efficiente e che meglio tuteli la garanzia dei diritti. La Commissione Luciani, di cui hanno fatto parte giuristi di enorme rilievo esperti della materia e anche espressioni di diverse tendenze di opinione, ha proposto una serie di correttivi e di aggiunte all’originario disegno di legge caratterizzate da equilibrio e rifiuto di ogni semplificazione demagogica. Si lavori su queste e avremo una giustizia migliore”.
L'editoriale del direttore