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L'emergenza Covid manda in confusione il governo su carceri e giustizia

Ermes Antonucci

Termini poco chiari, espressioni contraddittorie, provvedimenti annunciati e poi smentiti. Le rivolte dei detenuti sembrano essere state causate anche da una cattiva comunicazione da parte delle istituzioni. Il caos per la sospensione dei processi

Termini poco chiari, espressioni contraddittorie, provvedimenti annunciati e poi smentiti. L’emergenza coronavirus sembra aver mandato in confusione il governo anche sulle carceri e sulla giustizia. Alla base delle violente rivolte esplose in diversi istituti di pena del paese, e che hanno provocato evasioni di massa, morti tra i detenuti, addirittura un temporaneo sequestro di agenti penitenziari e danni per milioni di euro, vi sono le restrizioni ai colloqui e alla concessione dei permessi premio imposte dal governo per contrastare l’emergenza Covid-19. Il Dpcm anti-coronavirus firmato dal premier Conte domenica scorsa stabilisce, infatti, che negli istituti penitenziari i colloqui si svolgano “in modalità telefonica o video”, e che solo in “casi eccezionali” possano essere autorizzati colloqui personali, “a condizione che si garantisca in modo assoluto una distanza pari a due metri”. Sono previste, inoltre, anche limitazioni nella concessione di permessi premio e della libertà vigilata.

 

Purtroppo però, come notato dal Garante nazionale dei detenuti, Mauro Palma, le rivolte in carcere sembrano essere state causate anche da una “cattiva comunicazione” da parte delle istituzioni: “Sta passando il messaggio che i collegamenti del carcere con l’esterno sono completamente interrotti, ma non è così, bisogna riportare un po’ di razionalità e placare gli animi”. Non sembra aver aiutato a calmare gli animi, in effetti, l’ambiguità delle indicazioni giunte dal governo. Il decreto varato domenica sera per disciplinare lo svolgimento dell’attività giudiziaria, a differenza del Dpcm sembra non prevedere infatti la possibilità di colloqui personali, stabilendo semplicemente che fino al 22 marzo gli incontri “sono svolti a distanza, mediante, ove possibile, apparecchiature e collegamenti di cui dispone l’amministrazione penitenziaria e minorile o mediante corrispondenza telefonica”. Le indicazioni, insomma, non sono chiare e univoche.

  

Analoga confusione emerge, sempre rimanendo nel settore giustizia, dalle disposizioni relative alla sospensione dei processi. Venerdì notte, al termine di un lungo Consiglio dei ministri, il Guardasigilli Alfonso Bonafede aveva annunciato alla stampa l’approvazione di un decreto che prevedeva “la sospensione feriale degli uffici giudiziari” dal 9 al 22 marzo, quindi con lo svolgimento soltanto delle udienze urgenti (come quelle riguardanti misure cautelari e detenuti) e l’automatica sospensione dei termini per il compimento di qualsiasi atto relativo ai procedimenti (in primis le impugnazioni), proprio come avviene durante le ferie estive. Bonafede aveva poi specificato che, dopo questo periodo “cuscinetto” e fino al 31 maggio, i vertici degli uffici giudiziari avrebbero potuto continuare a rinviare le udienze non urgenti in caso di rischi per la salute.

  

Per due giorni migliaia di magistrati e avvocati hanno atteso invano la pubblicazione del decreto in Gazzetta ufficiale, che è avvenuta soltanto domenica sera, preceduta da un comunicato urgente con cui il ministero della Giustizia ha cercato addirittura di chiarire i contenuti del testo non ancora pubblicato. Anche il tentativo di chiarimento preventivo, però, è fallito. Alla fine, infatti, le disposizioni del decreto sono risultate comunque poco chiare. Nel testo definitivo è assente qualsiasi riferimento alla “sospensione feriale” annunciata da Bonafede e alla relativa legge di riferimento (la n. 742 del 1969). L’articolo 1, comma 1, del decreto stabilisce invece il “rinvio d’ufficio” di tutte le udienze dei procedimenti civili e penali già fissate nel periodo 9-22 marzo, ad esclusione di quelle urgenti. Il comma 2 prevede la sospensione dei “termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti”, ma solo di quelli “indicati nel comma 1”, vale a dire dei procedimenti rinviati d’ufficio. Il risultato è che, sulla base dell’interpretazione letterale del decreto, migliaia di avvocati sono comunque costretti a rispettare i termini per il compimento degli atti (deposito di impugnazioni, di perizie ecc.) dei procedimenti non rinviati. Ciò significa recarsi in cancelleria e quindi vanificare l’obiettivo fissato dal ministro di evitare l’affollamento degli uffici giudiziari. Anche sulla sospensione dei processi, insomma, il governo sembra muoversi con le idee poco chiare, tra le preoccupazioni degli avvocati e anche dei magistrati (tra i quali si segnalano ogni giorno nuovi casi di positività al coronavirus). E tutti invocano chiarimenti da parte di Bonafede.