Silvio Berlusconi (foto LaPresse)

Silvio Berlusconi, l'eterno indagato

Riccardo Lo Verso

L'ex premier a Palermo per il processo sulla Trattativa Stato-mafia. Nessuno ovviamente può sottrarsi alla legge, ma il Cav è indagato ormai da ventitré anni

Non è l'essere indagato di Silvio Berlusconi (nessuno può sottrarsi alla legge) che sorprende, ma il fatto che lo sia ormai da ventitré anni. L'onda della giustizia, già di per sé lunga, a volte si fa infinita. E Berlusconi entra appieno nella casistica dantesca dei tribunali italiani. Si entra nel girone degli indagati-imputati per restarci in eterno, o quasi. E quando una parentesi resta a aperta è facile imbattersi in qualcuno che all'improvviso scriva una nuova pagina del romanzo giudiziario. Per ultimo è toccato all'ergastolano Giuseppe Graviano, boss di Brancaccio.

 

La prima volta fu nel 1996. La Procura di Firenze indagò Silvio Berlusconi per le stragi di mafia del 1993. Oggi, ventitré anni dopo, il leader di Forza Italia è arrivato in aula a Palermo, al processo sulla Trattativa Stato-mafia, con lo status di testimone assistito in quanto indagato dagli stessi pubblici ministeri fiorentini. Si è avvalso della facoltà di non rispondere e di sicuro qualcuno avrà da ridire sulla legittima scelta processuale.

 

A Firenze per la terza volta si riavvolge il nastro della storia. Sì, perché tra il 1996 e il 1998 l'ex premier e Marcello Dell’Utri - sotto gli acronimi di Autore 1 e Autore 2 – erano stati indagati per concorso negli eccidi via dei Georgofili a Firenze, in via Fauro a Roma e in via Palestro a Milano. Tra il 1998 e il 2002 sempre Berlusconi e Dell'Utri – allora indicati come Alfa e Beta – finirono sotto accusa della procura di Caltanissetta per il presunto ruolo nella strage in cui furono massacrati Paolo Borsellino e gli uomini della scorta. Inchieste che si sono chiuse con un nulla di fatto.

L'uomo chiave era il pentito Salvatore Cancemi. Quello al quale serviva tempo per ricordare tutto. Quello che si paragonava a “una vite arrugginita che ci vuole del tempo per svitarla”. Ci mise tre anni, dopo averlo negato, a dichiarare di essere stato uno dei componenti della commissione provinciale che decise di fare saltare in aria Falcone, Borsellino e gli uomini delle scorte. Viveva, così si giustificò, un travaglio psicologico che gli impediva di superare la “vergogna ad ammettere alcune cose”.

Su Berlusconi era stato “generico e mutevole”, così scriveva il giudice che archiviò la prima inchiesta, su richiesta della stessa procura nissena, e le sue dichiarazioni “anguillose perché viziate dalla sua costante propensione a ridimensionare il proprio ruolo nei reati contestatigli”.

 

Nel 2016 arrivarono le intercettazioni di Graviano, lui sì certamente stragista, che raccontava di quando “Berlusca... lui voleva scendere... però in quel periodo c'erano i vecchi... lui mi ha detto ci vorrebbe una bella cosa...”. E cioè le bombe che dilaniarono l'Italia. Prima che le microspie registrassero queste frasi Graviano sapeva di essere intercettato visto che aveva messo in guardia il suo compagno di ora d'aria nel carcere di Ascoli Piceno. Bisognava fare attenzione perché gli “spioni” avevano piazzato le telecamere.

 

Berlusconi è tornato ad essere un indagato. Mica solo per stragi, anche per il fallito attentato a Maurizio Costanzo, il tentato omicidio del pentito Totuccio Contorno, per le bombe di Firenze, Milano e Roma. Il tutto inquadrato nel calderone della trattativa Stato-mafia e cioè nella stagione della minaccia dei boss alle istituzioni. Gli esecutivi minacciati, così c'è scritto nella sentenza di primo grado, furono tre tra il 1992 al 1994. Quelli di Giuliano Amato, Carlo Azeglio Ciampi e infine di Silvio Berlusconi. Nel caso dei primi due a veicolare la minaccia furono i carabinieri del Ros. Quando andò al potere Berlusconi fu Dell'Utri a fare il lavoro sporco. Sono i temi del processo di appello in corso davanti alla Corte di assise palermitana. Tempi biblici, dove i Cancemi e i Graviano possono dire, direttamente o indirettamente, la loro. Nel romanzo della giustizia c'è posto per tutti. Intanto la presenza di Berlusconi riaccende le telecamere, risveglia il battage pubblicitario. Comunque vada sarà un successo.