Foto d'archivio della strage di Capaci

Contro la giustizia choc

Redazione

Un filo sottile lega il bluff di Mafia Capitale con i pentiti a scoppio ritardato

La Corte di cassazione ha bocciato in maniera clamorosa e definitiva la grande narrazione mediatico-giudiziaria di “Mafia Capitale”, ma nulla sembra poter fermare un certo modo di portare avanti le indagini nel nostro paese. Forzature giurisprudenziali, evocazione di aggravanti mafiose e uso di pentiti sono i mezzi più gettonati dai pm per mantenere in vita le inchieste, nel tentativo di sfruttare il trampolino mediatico e fare carriera.

 

Capita così che, proprio all’indomani della storica sentenza su Mafia Capitale (che non era mafia), venga diffusa “l’ultima verità choc” sulla strage di Capaci, in cui il 23 maggio 1992 furono uccisi Giovanni Falcone, la moglie e gli agenti della scorta: a piazzare l’esplosivo sotto l’autostrada sarebbe stato un ex poliziotto, chiamato il “turco”. A rivelarlo improvvisamente, a più di ventisette anni dalla strage, è stato un collaboratore di giustizia, Pietro Riggio, spiegando di aver avuto paura fino a oggi di parlarne. I verbali del collaboratore sono stati depositati nel processo d’Appello Capaci bis dove vengono processati cinque mafiosi accusati di aver partecipato alla strage.

 

Per la vicenda sono già state condannate in via definitiva ventiquattro persone, ma il fascino per i “poteri occulti” è ancora vivo. E infatti le rivelazioni a scoppio ritardato del pentito avrebbero convinto il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho a convocare una riunione per approfondire il caso con i magistrati delle procure di Palermo, Caltanissetta, Catania, Reggio Calabria e Firenze, che si occupano a vario titolo di filoni riguardanti le bombe del ’92-’93. A dare al pentito la forza di parlare dopo 27 anni sarebbe stata la sentenza di primo grado del processo sulla cosiddetta trattativa stato-mafia, l’altra grande narrazione mediatico-giudiziaria degli ultimi anni. Un romanzo ormai in grado di autoalimentarsi: il pentito è servito, il racconto può continuare (per la gioia dei pm).

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