Marco Travaglio (foto LaPresse)

Breve elenco dei baci della morte schioccati da Travaglio

Maurizio Crippa

Gli amori del direttore del Fatto, prima o poi, cadono in disgrazia. Virginia Raggi, Ingroia, Di Battista, Grillo. Ora è il turno del premier Conte

Come bacia Travaglio, non bacia nessuno. Il bacio della morte, vogliamo dire. L’ultimo in ordine di tempo, alla sua stella polare Conte, il bis-premier, intervistato in passato con una voluttà che manco Massimo Franco, poi spericolatamente elogiato per aver ammesso “di non avere una soluzione in tasca per tutto”. Ma da allora, sospinto da quei bacetti, Giuseppi s’avanza metodico di disastro in disastro, con i partiti del suo governo che non sanno più come fare a disfarsi di lui e del loro stesso governo, fino alla nuova dichiarazione di ieri, per cui il direttore del Fatto quotidiano ancora lo elogerà: “E’ chiaro che in questo momento non abbiamo una soluzione di mercato a portata di mano”. Che è come dire il baratro, per un leader politico. Oppure, un passetto più indietro, quando stravedeva per i Cinque stelle e la parte gialla del governo verde e giallo, fiducioso nel capo politico Gigi Di Maio. Proprio quel Di Maio cui tempo dopo, innamorato deluso, rinfacciò “una buona dose di infantilismo e di inadeguatezza” (caso Draghi). Per non dire, sarebbe fin troppo facile, di Virginia Raggi, la Dulcinea che il Periodista dalla trista figura difende lancia in resta da anni (una fedeltà che invero gli fa onore), ma ogni difesa è vieppiù un cozzare, per lui, contro i mulini a vento; e per lei, la sindaca Dulcinea, come inciampare in un cassonetto. L’ha difesa dalla voluttà generale di gettarle “tutte le croci addosso” e ancora adesso, dopo le scale mobili rotte e l’estate della monnezza, ha avuto il coraggio di dire: “Virginia Raggi ha diritto-dovere di fare un secondo mandato perché è onesta e competente”. Una coppia di aggettivi che, ogni volta che i romani la sentono, partono con le pernacchie. Pernacchie, in fondo, che sono un bacio della morte.

 

Siamo uomini di mondo, e lo ammettiamo: anche da queste parti di baci della morte se n’è schioccati più d’uno. Da Hillary che batte The Donald al Royal Baby che vince il referendum e ribalta l’Italia come un calzino. Succede ai vivi. Però, fermandosi idealmente in riva a un fiume (putacaso l’Arno, ché Firenze a Travaglio gli fa venire la salmonella) e provando a stendere come un sudario l’elenco dei baci della morte distribuiti dal grande timoniere, l’elenco è strabiliante. La quantità di aspiranti salvatori della patria che il frenetico pifferaio di Hamelin ha trascinato in cima a una scala, per poi buttarli giù in un demenziale Helter Skelter del fallimento politico fa impressione.

 

E’ anche questione di Dna, forse. Il Travaglio touch che non perdona. Se è vero che ai Mondiali del 2006, per orrore di Calciopoli, tifò per la Germania. Ma per tornare alle cose meno serie, o proprio alle miserie, ci fu il suo dio archetipo, Antonio Ingroia. Quello con cui andava in vacanza in resort di lusso. Ingroia con le sue fantainchieste finite in nulla, Ingroia esaltato come un eroe dei due mondi quando partì per il Guatemala per militare nella Comisión Internacional contra la Impunidad en Guatemala, una intitolazione che manco il Gadda della Cognizione. Ingroia che sognava un governo con “Travaglio all’informazione, Fiorella Mannoia alla cultura, un operaio al lavoro e un poliziotto agli interni”. Ingroia accolto a braccia aperte quando tornò per stravincere le elezioni. Ingroia chi? Questo: “Voto Ingroia e Grillo, gli unici che non hanno mai governato con B.”. Poi venne Beppe Grillo. Con Grillo “siamo amici da vent’anni non è certo un mistero”. Grillo, che col suo movimento del Vaffa ha trovato nel Fatto la tribuna e la grancassa. Grillo, scolpito nel marmo dall’esegeta Travaglio: “L’hanno creato loro: rifiutando le sue proposte, asserragliandosi a palazzo, barricando porte e finestre, alzando i ponti levatoi per tenere lontani dalla politica i cittadini e rovesciando su di loro pentoloni d’olio, anzi di merda bollente”. Grillo di cui, adesso, ha scritto: “Quand’era vivo Gianroberto Casaleggio, era lui insieme all’allora capo politico Beppe Grillo ad assumersi la responsabilità di concedere o negare il simbolo alle liste dei meetup… quando litigavano o non erano pronti o non trovavano candidati all’altezza, diceva no e morta lì”. Che è come ammettere, anni e anni di merda antipolitica dopo, che la democrazia diretta era una boiata fraudolenta. E Dibba? La caricatura del Che con la motocicletta, che il Fatto ingaggiò come inviato speciale?

 

Capita a tutti, ma persino il nostro bacio più lungo, l’Amor nostro che Travaglio chiama malamente B., ha governato per una vita. Ora è inciampato su un selfie a Zagabria, ma è stata solo una brutta botta e via: mica è rimasto raso al suolo come i guappi di cartone, al primo schioccar di labbra di Travaglio.

  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"