(Foto LaPresse)

A Roma una gran lezione di Gabrielli

Redazione

Il capo della polizia contro chi usa la sicurezza come strumento di lotta politica

"Gli accertamenti che l’autorità giudiziaria disvelerà quando lo riterrà opportuno non ci raccontano la storia di due ragazzi scippati”. Lo dice il capo della polizia Franco Gabrielli, mentre sa che da qualche ora sono stati fermati gli aggressori e assassini di Luca Sacchi, romano, 24 anni, ucciso la notte precedente con un colpo alla nuca mentre difendeva la fidanzata da un tentativo di furto. Il delitto, come si dice in questi casi, aveva scosso, e comprensibilmente, l’opinione pubblica. Matteo Salvini già era saltato sulla tastiera, denunciando fantasmagorici (e inesistenti) tagli alla spesa per sicurezza, e chiaramente pronto a gettarsi sulla eventuale origine non italiana degli assalitori. Gabrielli però sapeva come erano andate le cose e ha cominciato a mettere in fila i fatti e a dare a essi un senso. La vicenda si è poi disvelata come nata da contrasti legati anche al commercio di droga. Non grande delinquenza ma ragazzi, gli assalitori, comunque in grado di sparare e uccidere per pochissimo, con la mamma di uno dei due aggressori che chiama la polizia la notte del delitto e dice di temere che suo figlio ne sia responsabile. La mattina dopo Gabrielli parla in pubblico. Dà la precisazione di cui sopra e aggiunge coraggiosamente che “Roma certamente ha problemi ma non è Gotham City”. Anche il delitto di cui si parla per Gabrielli non va inquadrato nelle grandi vicende del potere criminale ma, come dice con serena obiettività, “l’efferatezza dell’omicidio compiuto a Roma e il fatto che siano coinvolti due ventunenni più che interrogare gli organismi di sicurezza dovrebbe interrogare le agenzie educative”. E si potrebbe aggiungere che nella definizione ampia di “agenzie educative” rientra non solo la scuola, ma anche i luoghi della socialità e perfino la comunicazione politica. E siamo al punto finale, quando Gabrielli invita a non anticipare giudizi ed emettere sentenze e soprattutto ad avere tutti “grande cautela senza utilizzare la sicurezza come strumento di lotta politica”. Giustissimo, anche perché è lo smontaggio, in poche e misurate parole, della propaganda securitaria e sovranista.

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