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Ancora un capitolo della spy story Consip. Si apre il processo disciplinare contro Woodcock

Annalisa Chirico

Giustizia, politica e procedure ad personam. Al Csm ora c’è un caso Davigo: esiste o no una incompatibilità sul dossier Consip?

Roma. Chi pensava che la spy story targata Consip fosse giunta al capolinea si sbagliava di grosso. Si è aperta ieri a Palazzo de’ marescialli l’udienza disciplinare nei confronti dei pm partenopei Henry J. Woodcock e Celestina Carrano. Ai due vengono contestate le modalità d’interrogatorio di Filippo Vannoni, il presidente della municipalizzata fiorentina Publiacqua indicato da Luigi Marroni, ex ad Consip, come una delle persone che lo avrebbe informato delle indagini in corso. Secondo il procuratore generale presso la Cassazione, Vannoni fu sentito come persona informata dei fatti, e dunque senza l’assistenza di un avvocato, sebbene sussistessero già elementi sufficienti per l’iscrizione nel registro degli indagati. La lesione delle garanzie difensive di Vannoni è al centro di un procedimento che avanza con lentezza pachidermica. Tra i sei componenti della sezione disciplinare compare il consigliere togato Piercamillo Davigo che su Consip e, in particolare, sulla vicenda che ha coinvolto il collega napoletano si è espresso a più riprese. Per esempio, la scorsa estate, intervistato da Marco Travaglio, l’ex toga di Mani pulite non lesinava critiche a un Csm che “non dice nulla contro gli attacchi del governo a un pm colpevole di fare indagini ad alti livelli, anzi lo processa disciplinarmente prima ancora che vengano processati gli imputati. Sono esterrefatto”. A oggi Davigo non ha ancora optato per l’astensione, forse provvederà nelle prossime ore, a meno che uno dei colleghi non si decida a sollevare la questione incompatibilità per indurlo al doveroso passo indietro. Non è un caso che il vicepresidente David Ermini abbia deciso di non presiedere quel collegio essendosi pubblicamente espresso sull’inchiesta napoletana, in passato, nelle vesti di parlamentare Pd. Come ricorda lo stesso sito web del Csm, nel procedimento disciplinare si applica il codice di procedura penale, ove compatibile. L’articolo 36 del codice impone l’obbligo di astensione per il giudice che “ha dato consigli o manifestato il suo parere sull’oggetto del procedimento fuori dall’esercizio delle funzioni giudiziarie”. Insomma, il “caso Davigo” ci sta tutto.

 

Il Consipgate riaffiora inoltre nell’ultima impresa editoriale di Matteo Renzi, valsagli già una querela, per ora annunciata, da parte del colonnello dei carabinieri Sergio De Caprio, alias Capitano Ultimo. Nelle pagine di “Un’altra strada – Idee per l’Italia di domani”, l’ex premier torna sull’inchiesta che, più di ogni altra, ne ha segnato la parabola a Palazzo Chigi: sebbene le accuse nei confronti del padre Tiziano siano state archiviate su richiesta della procura capitolina, la tempesta investigativa, con il suo corollario mediatico, tra prove manipolate e ufficiali infedeli, ha occupato per mesi le cronache giudiziarie. Nel 2015 il trasferimento di Capitano Ultimo e di una ventina dei suoi più stretti collaboratori nei ranghi dell’Aise gli fu suggerito dai vertici dei servizi: un’operazione necessaria per catturare il nuovo capo della mafia, Matteo Messina Denaro. A distanza di due anni, Ultimo viene “restituito” all’Arma: il sospetto è che non abbia mai smesso di essere informato circa gli sviluppi dell’inchiesta dal suo pupillo, il capitano Gianpaolo Scafarto. “Leggo che Matteo Renzi nel libro paventa ancora fantomatici complotti e azioni eversive contro di lui da parte del Capitano Ultimo e di pochi carabinieri che lavoravano all’Aise – fa sapere lo stesso De Caprio parlando di sé alla terza persona – Di Renzi non me ne sono occupato prima e non me ne occupo ora. Non ho mai attribuito ad altri le cause dei miei fallimenti personali e professionali. Ho dato mandato al mio avvocato Francesco Romito di agire nelle sedi competenti contro le persone che mi attribuiscono cose che non ho mai detto e azioni che non ho mai compiuto”.