Piercamillo Davigo (foto LaPresse)

Il problema di Davigo nominato alla sezione disciplinare del Csm

Ermes Antonucci

L’ex pm dovrà giudicare Woodcock, sul quale però ha già detto che il procedimento non avrebbe neanche dovuto essere aperto

Roma. L’ex pm di Mani pulite, Piercamillo Davigo, è stato nominato dal plenum del Consiglio superiore della magistratura come componente della sezione disciplinare. Il candidato più votato alle ultime elezioni del Csm di luglio è tra i sei prescelti dell’organo di autogoverno della magistratura che giudicheranno sulle toghe accusate di illeciti disciplinari dal procuratore generale della Cassazione o dal ministro della Giustizia. Con il leader della corrente Autonomia e indipendenza siederanno nella sezione Giuseppe Cascini (ex pm nel processo Mafia capitale ed esponente di Area), Corrado Cartoni (Magistratura indipendente), Marco Mancinetti (Unicost), Fulvio Gigliotti (membro laico indicato dal Movimento 5 stelle) e infine, come componente di diritto (che presiede i lavori), il neo vicepresidente del Csm, David Ermini.

    

Un ruolo di prestigio per Davigo, vista la delicatezza dei compiti che la sezione è chiamata a svolgere (può adottare provvedimenti disciplinari nei confronti delle toghe che possono influire sull’avanzamento di carriera, almeno nella teoria). Ma è proprio questa delicatezza a imporre seri interrogativi sull’opportunità di affidare l’incarico a un magistrato che negli ultimi decenni, fin dai tempi in cui faceva parte del pool di Mani pulite, ha mostrato di concepire il rapporto fra magistratura e politica come una guerra (in cui sarebbe la seconda, ovviamente, a volersi imporre sulla prima), e che di conseguenza piuttosto che valutare criticamente l’operato di un magistrato – favorendo così il “nemico” in questo conflitto – preferirebbe probabilmente tagliarsi un piede.

  

Ma ragioni di opportunità sulla nomina di Davigo non si pongono solo in termini formali, ma anche sostanziali. Il caso più importante su cui la sezione disciplinare dovrà esprimersi, infatti, è certamente quello che coinvolge i pm napoletani dell’inchiesta Consip, Henry John Woodcock e Celestina Carrano, finiti a processo disciplinare con l’accusa di aver commesso con “inescusabile negligenza” una “grave violazione” dei diritti di difesa di Filippo Vannoni (consigliere dell’allora premier Matteo Renzi) e, nel caso di Woodcock, di aver anche rilasciato alcune dichiarazioni al quotidiano la Repubblica nonostante le richieste di riserbo dell’allora procuratore capo facente funzioni Nunzio Fragliasso.

   

Ragioni di opportunità si palesano soprattutto se si guarda alle affermazioni rilasciate da Davigo in un’intervista a Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano il 13 luglio scorso, all’indomani della sua elezione in Csm, proprio in merito al caso Woodcock. Nell’intervista l’ex pm si disse d’accordo con il suo collega di corrente, Sebastiano Ardita (anch’egli eletto in Csm), che aveva definito il processo disciplinare a carico di Woodcock “roba da Corea del nord”. “Quando l’organo di autogoverno – affermò Davigo – non dice nulla contro gli attacchi del governo a un pm colpevole di fare indagini a livelli alti e anzi lo processa disciplinarmente prim’ancora che vengano processati gli imputati, magari usando gli esposti degli imputati contro quel pm, c’è da restare esterrefatti”. In altre parole, secondo Davigo, il procedimento disciplinare su Woodcock non avrebbe neanche dovuto essere aperto dal Csm.

    

E’ inevitabile, quindi, porsi una domanda: quale imparzialità di giudizio può garantire un magistrato che, mesi di prima di essere chiamato a esprimersi su un procedimento, si è sbilanciato pubblicamente in maniera netta a favore di una delle parti in causa (Woodcock)? Dubitare, pensando alle regole basilari del giusto processo, è lecito.

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