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I pm "preferiscono" i migranti alla mafia

Riccardo Lo Verso

La lotta ai boss non sembra più una priorità in Sicilia. I magistrati lavorano in pool sul traffico di esseri umani

Sono giorni frenetici alla Direzione distrettuale antimafia di Palermo. Solo che la mafia non c’entra. E’ il segno dei tempi. Tempi in cui, nessuno escluso e magistratura inclusa, sono obbligati a occuparsi di immigrazione. La parola mafia, d’altra parte, è sparita, salvo qualche folcloristico intervento, da quella che i nostalgici, e un po’ démodé, si ostinano a chiamare agenda politica. Che paroloni, ora ci sono i diari di Facebook e le line di Twitter.

  

L’immigrazione, l’arma di distrazione di massa del dibattito politico. E’ la nuova emergenza. Per tutto il resto c’è tempo

Accanto a un genuino senso di umanità che va salvaguardato e difeso, in tanti si è fatta largo la voglia di mostrarsi diversi da Salvini

Negli uffici del palazzaccio palermitano, dove da mesi è stato creato un pool di pubblici ministeri per occuparsi dei traffici di essere umani, ora è approdato il caso Diciotti con Matteo Salvini sotto inchiesta. La procura non ha alcuna intenzione di fare da passacarte limitandosi a girare al Tribunale dei ministri il fascicolo trasmesso dal procuratore di Agrigento, Luigi Patronaggio. E così nella stanza del capo dei pm palermitani Francesco Lo Voi si studiano atti e codici, nazionali e internazionali, fra un’inchiesta su Cosa nostra e l’altra. Mentre si indaga sulla mafia che regola la vita delle borgate palermitane, impone il pizzo e fa rispettare l’unica legge che i boss conoscono, quella della sopraffazione, si lavora al caso Salvini. Un caso che catalizza le attenzioni. Non è la politica che soccorre i migranti, ma i migranti che soccorrono la politica. Ci sarà un’altra nave Diciotti. E’ solo questione di tempo, forse di ore. Quando la burrasca sarà passata e il mare del dibattito politico mostrerà cenni di quiete, i migranti arriveranno in aiuto. E’ il mondo all’incontrario.

 

Tutto il resto passa in secondo piano, risucchiato dal tema dell’immigrazione. Anzi, dell’emergenza migranti. Che poi, dati alla mano, c’è il rischio di accorgersi che si tratta di un’emergenza finta. Meglio non guardarli, i dati. Meglio concentrarsi sul governo e sul ministro dell’Interno, Matteo Salvini, che non si piegano più a quei cattivoni dell’Europa che, dal canto loro, in tutti questi anni si sono ben guardati dal rendersi efficienti e simpatici.

 

In Sicilia si è giocata una partita in cui tutti, ma proprio tutti, grazie all’arena della Rete – per una volta Massimo Giletti non c’entra – hanno potuto indossare i panni di esperti di politica internazionale, dopo avere svestito in fretta quelli da ingegneri. Il crollo del ponte di Genova è stato una parentesi nel dibattito, e invece è una tragedia infame che dovrebbe togliere il sonno a chi l’ha provocata e stimolare coloro che cercano la verità. Siccome i tempi si allungano – l’inchiesta, la ricostruzione, l’ipotesi di revoca della concessione spostano la discussione troppo in avanti – serve allora qualcosa che contribuisca a tenere accesso l’ardore della piazza. E i migranti funzionano sempre. Sono diventati l’arma di distrazione di massa del dibattito politico.

 

Cosa volete che gliene freghi al siciliano della disoccupazione che fa dell’Isola una delle dieci regioni dove si sta peggio in Europa (in Europa, non in Italia!), delle strade colabrodo, dei ponti chiusi da anni, ancora prima che cadesse quello Morandi di Genova, dei treni che per andare da una punta all’altra della trinacria impiegano quasi lo stesso tempo di una traversata della speranza, delle liste di attesa infinite negli ospedali, della mafia e dell’antimafia. E’ l’immigrazione la nuova emergenza. Per tutto il resto c’è tempo.

 

La Sicilia scopre persino di avere sedimentato un latente odio razziale che si è fatto strada, fino ad esplodere nell’intolleranza. Casi sporadici per carità, ma la mazzate sono vere. Come quelle subite dal giovane ospite di una comunità di Partinico. Nero, naturalmente. Anzi “sporco negro” come gli urlavano quei siciliani di razza superiore che lo hanno preso a calci e pugni. Come i quattro gambiani e un ivoriano schiaffeggiati, inseguiti e di nuovo picchiati sempre a Partinico e sempre da palermitani. E ancora, il ballerino, di origini mauriziane ma adottato da genitori siciliani, pestato fino a fratturargli la mandibola a Lercara Friddi, altro paese della provincia palermitana. Almeno nel suo caso lo chiamavano “nero”, senza l’offensiva “G”, salvo poi completare la frase “nero... di merda, devi morire”. L’elenco prosegue con il nigeriano trentenne colpito con un cric da un palermitano, lui sì pregiudicato, davanti a una gelateria di Bagheria e il tunisino di 16 anni preso a sportellate a Raffadali, nell’Agrigentino.

 

A Palermo il sindaco Leoluca Orlando è stato costretto da un ordine della magistratura a sbaraccare il campo nomadi, anche se lui sostiene che se ne stesse già occupando. Come se il campo e il suo degrado fossero spuntati in una notte nel bel mezzo del parco della Favorita. Ai rom dovevano essere assegnate due ville che fanno parte dello sterminato e inutilizzato patrimonio confiscato alla mafia. Non ci sono i soldi per gestirlo e così beni mobili e immobili ormai dello Stato vanno in malora. I residenti del quartiere all’inizio hanno fatto muro. Non avevano alcuna intenzione di condividere gli spazi con i rom, ma ora pare che sia stato trovato un accordo: i rom arriveranno in cambio di luce e acqua pubbliche nella zona. Mentre discutevano, qualcun altro – palermitano e senza casa – ha occupato le ville. Tre famiglie, poco più di venti persone, tanti bambini. Non sono inseriti nella graduatoria per l’assegnazione di un alloggio popolare perché non hanno presentato la domanda al Comune. E’ lecito, però, chiedersi a cosa serva una graduatoria che non scorre e alimenta solo la speranza nella guerra fra poveri.

 

Partinico è l’esempio di come il fenomeno dell’immigrazione sia stato gestito male. I numeri non aiutano l’integrazione, ma non possono rappresentare l’esimente di gesti criminali perpetrati con l’aggravante dell’odio razziale. Qualcuno dovrebbe spiegare come è possibile che in un piccolo comune, seppur popoloso, esistano quindici strutture fra comunità e centri di accoglienza che ospitano trecento migranti. Cifre che raddoppiano se si considerano gli altri sette paesi del comprensorio. Una concentrazione che non ha eguali in Italia, ma che finora non aveva creato corto circuiti. Forse perché solo adesso si è scoperta l’esistenza di un’emergenza migranti attualissima e molto molto social?

 

Mica come la mafia, roba stantia, vintage, che non tira più. Il ministro Salvini ha provato a twittare sull’argomento, ma il suo pensiero è partito da Palermo e si è fermato allo stretto di Messina. “Ville, terreni, automobili e moto, negozi e conti correnti per un totale di 150 MILIONI confiscati in queste ore ad alcuni mafiosi a Palermo, molto bene! Grazie alle Forze dell’ordine, avanti così, dalle parole ai fatti alla faccia dei chiacchieroni #lamafiamifaschifo”. Così scriveva l’uomo forte del Viminale, tirando dentro il giornalista e scrittore Roberto Saviano con cui è ormai in guerra aperta. Era la vigilia di Ferragosto quando la Direzione investigativa antimafia e il tribunale di Palermo confiscavano il patrimonio di due imprenditori arricchitisi grazie all’appoggio di Cosa nostra. “Dalle parole ai fatti”, dunque. Le parole, quelle che contano, quelle dei provvedimenti giudiziari, però, non le ha scritte Salvini, ma gli investigatori e i giudici ancora prima dell’arrivo del neo ministro. L’iter che ha portato ai provvedimenti, prima di sequestro e poi di confisca, risale al 2014. Non è opera del nuovo governo gialloverde che se n’è attribuito frettolosamente i meriti. Un governo che avrà certamente tempo e modo di lavorare e raccogliere i risultati delle proprie azioni. Quali? Lo scopriremo nei mesi a venire. Per il momento bisogna concentrarsi sull’emergenza migranti e fidarsi degli annunci e delle promesse. Come “la lotta senza quartiere” di cui ha parlato Salvini, che se l’è presa con i “bastardi camorristi e i mafiosi in Italia. Vediamo di prenderli veramente a bastonate”. Era luglio, prima del tweet “dalle parole ai fatti” e prima di tuffarsi nella piscina di una struttura confiscata a Siena. Un gesto simbolico per dimostrare che lo Stato vince. Ci si attende molto di più di un ministro in costume da bagno. “Mafiosi e scafisti: per me siete le stesse merde”, aggiunse Salvini in una delle immancabili dirette Facebook, onde evitare che qualcuno dimenticasse per un solo istante l’emergenza immigrazione che si sta combattendo in Italia. Stesso cliché nei giorno del lutto di Genova. Meno male che arrivò una “notizia positiva in una giornata così triste: La nave Ong AQUARIUS andrà a Malta e gli immigrati a bordo verranno distribuiti fra Spagna, Francia, Lussemburgo, Portogallo e Germania. Come promesso, non in Italia, abbiamo già fatto abbastanza. Dalle parole ai fatti”. Altro giro, altro tweet.

 

La mafia esiste e il governo se ne occuperà. Niente paura. E’ giusto concedere un’apertura di credito – l’importante è che non assuma via via i crismi dell’atto di fede, anche se pare questa la strada – agli “uomini del cambiamento” di cui è autorevole rappresentante il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, sceso a Palermo in occasione dei funerali di Rita Borsellino. Altra parentesi dolorosa nel dibattito politico. L’impegno della sorella del magistrato ammazzato dalla mafia non sarà disperso, così ha detto il siciliano Bonafede. Speriamo vada meglio del passato, quando la politica ha liquidato troppo in fretta una persona per bene confinandola lontano dalla Sicilia che più lontano non si può, a Bruxelles.

 

La Sicilia scopre persino di avere sedimentato un latente odio razziale che si è fatto strada, fino a esplodere nell’intolleranza

Partinico, un piccolo comune, seppur popoloso, con 15 strutture fra comunità e centri di accoglienza che ospitano 300 migranti

Si vedrà, nel frattempo occupiamoci dell’emergenza migranti. Per dieci giorni il caso Diciotti ha tenuto gli italiani incollati allo schermo della tv e a quello dei telefonini dove si gioca ormai la partita della comunicazione. Un intero paese mobilitato, pro e contro Salvini, il ministro che difende i confini dai “quarantenni palestrati” a bordo della Diciotti, che non era un carretta del mare, né l’imbarcazione di una Ong, ma una nave della Guardia costiera italiana.

 

L’opinione pubblica si è divisa (il #prima gli italiani primeggia), come la politica che non si è lasciata sfuggire l’occasione per battere un colpo. Ci sono cascati tutti. Almeno coloro, e non sono stati pochi, che hanno deciso di salire sulla nave: dal presidente dell’Assemblea regionale siciliana Gianfranco Micciché, che ha dato dello “stronzo” al ministro, a Claudio Fava, presidente della commissione regionale antimafia. Accanto a un genuino senso di umanità che va salvaguardato e difeso, in tanti si è fatta largo la voglia di mostrarsi diversi da Salvini, il quale ha ragione quando dice che la vicenda sarà un boomerang per chi la usa contro di lui.

 

Sulla nave c’è salito pure Luigi Patronaggio, il procuratore di Agrigento che ha “osato” mettere sotto inchiesta il ministro che difende i confini italiani. “Quel Patronaggio lì”: la Rete non ha perso occasione per offendere il magistrato tirando fuori persino una foto del 2017. C’era anche l’allora premier Matteo Renzi all’inaugurazione della stanza-museo intitolata a Rosario Livatino, il giudice ragazzino ucciso dalla mafia. E mentre Renzi parlava Patronaggio “lo guardava con amore”: così recita la campagna social che si è scatenata contro il magistrato per dimostrare la sua appartenenza alla categoria delle toghe rosse. Sono i guasti della Rete o forse c’è da considerarli come il gesto di difesa disperato di chi ha paura. D’altra parte si vive o no in una situazione di emergenza?

 

C’è da chiedersi quando si inizierà a parlare delle “altre” emergenze del paese. Sempre che, aprendo la finestra e scrutando l’orizzonte del mare, non si scorga un altro carico di migranti, disperati o palestrati si vedrà, che chiederanno riparo in Sicilia. In tal caso bisognerà portare ancora pazienza e consolarsi ammirando finalmente un governo che non si piega all’Europa, ma mostra i muscoli.

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