Jakob Fuglsang in maglia gialla al Giro del Delfinato (foto LaPresse)

Fuglsang e la speranza che l'estate sia una primavera

Giovanni Battistuzzi

I bookmakers danno il corridore danese come il grande favorito per la maglia gialla della Grande Boucle. La sua trasformazione è una questione di un centimetro

Raccontava Pierre Chany che il ciclismo è "uno sport multiplo", perché "la bici va da per tutto, basta cambiare le gomme". Così "multiplo, che val bene per qualsiasi stagione: d'autunno e d'inverno per campi e per velodromi, d'estate per strade". Per molti decenni esistevano solo due periodi: quello delle ruote fangose del ciclocross, che andava di pari passo con quelle in seta dei velodromi, e quello delle ruote da corsa. Poi le stagioni si sono moltiplicate: c'era quella delle classiche, quella dei grandi giri, quella delle classiche premondiali, quella del finale di stagione. Ogni periodo dell'anno aveva i suoi interpreti, protagonisti che si vedevano per poche settimane prima di diventare comparse. La chiamavano – e la chiamano ancora – programmazione, suona piuttosto come settorialità, forse ipersettorialità. I corridori puntavano tutto su pochissime corse, il resto del calendario lo utilizzavano come fosse nient'altro che una passerella. 

 

Negli ultimi anni qualcosa sembra essere mutato. Si è materializzato un superamento degli ultimi decenni, un tentativo di archiviare il presente, ritornando al passato per cercare di costruire un nuovo futuro. È passata l'idea che è inutile puntare tutto sul Tour de France se al Tour de France c'è la Sky che batte tutti, tanto vale puntare a vincere le Classiche, i piccoli giri a tappe di grande storia e tradizione e poi vedere se il morale a mille può riuscire a portare le gambe dove la programmazione ha sempre fallito.

 

Quest'anno c'è sopratutto un uomo che spera che non ci possa essere distinzione tra le stagioni, che l'estate si trasformi in un'altra primavera. Jakob Fuglsang nei primi mesi di quest'anno è riuscito a fare quello che mai era stato capace di mettere sull'asfalto in tutta la carriera. Ha animato la testa della corsa in tutte le classiche di primavera nelle quali la salita era una componente non secondaria, ha sfiorato la Strade Bianche, l'Amstel Gold Race e la Freccia Vallone, ha conquistato la Liegi-Bastogne-Liegi. Ha dimostrato che quello che si diceva sul suo conto ormai un decennio fa – "questo ragazzo ha un futuro di grandi vittorie scritto nei polpacci", parola di Bjarne Riis – non era un abbaglio, né tantomeno un errore di valutazione.

 

La sua trasformazione da perennemente piazzato a vincente è stata una questione di un centimetro. "Ho tolto una solétta. Sembra incredibile ma è stata l'unica cosa che ho modificato. Sino all'anno scorso avevo una piccola elevazione sulla scarpa destra, perché la gamba è leggermente più corta della sinistra. È stata rimossa perché ogni tanto avevo dei fastidi al collo o alla colonna vertebrale. Variavamo allenamenti, massaggi, letti, ma nulla cambiava. Poi ho pensato che i problemi potessero avere qualcosa a che fare con la solétta: ora sto bene", ha detto al Bt sporten.

 

Un centimetro che gli ha cambiato la primavera e forse la carriera. "In bici non ho più problemi, vado forte come mai sono andato negli anni precedenti. E questo mi ha dato fiducia, sono più rilassato nella testa e nel corpo".

 

E al Tour de France che partirà da Bruxelles sabato 6 luglio correrà, almeno per i bookmakers, da favorito. "Ci conto e ci spero. L'obbiettivo minimo è un piazzamento tra i primi cinque, ma vorrei di più", ha detto a Cycling Tips. E ha poi aggiunto che "non vedo l'ora che arrivi la Grande Boucle. Penso di essere sulla strada giusta. Sino a oggi è già stata una grande stagione sia per me che per l'Astana. Quest'anno tutto è stato perfetto. Non c'è stress e l'atmosfera è fantastica. Ci diamo forza, siamo pronti a sacrificare noi stessi per i nostri compagni di squadra: per questo motivo siamo riusciti a vincere molte gare con molti corridori diversi".

 

A 34 anni il corridore danese, ma nato a Ginevra, ha l'occasione di ritornare a essere quello che è stato in gioventù, quello che arrivava alle gare e veniva guardato con timore da tutti gli avversari. Altri anni, soprattutto altre ruote. "Era un osso duro, uno che non mollava mai e quando aveva la giornata giusta non lo riuscivi a tenere", ha detto a Le Quotidien Nino Schurter, campione olimpico e sette volte campione del mondo della mountain bike. "Abbiamo iniziato assieme e quando ha deciso di passare alla strada devo ammettere che sono stato per certi versi contento: avrei vinto di meno. Forse però, a pensarci bene, mi sarei divertito di più".

 

Fuglsang sulle ruote grasse si è laureato campione del mondo tra gli under 23 nel 2007, precedendo sul traguardo di Fort William proprio Schurter. L'anno successivo, dopo aver dominato Cape Epic, una delle più dure e affascinanti corse in mountain bike, la prima esperienza sull'asfalto in una corsa a tappe aperta anche ai corridori delle squadre più importanti: "Il risultato fu stupefacente. Quel Giro della Danimarca lo corse solo contro tutti. Lo corse talmente bene che non ci pensai due volte. Mi dissi: 'Un corridore del genere, non posso farmelo sfuggire'", raccontò Bjarne Riis. "Ero certo che potesse vincere se non tutto, quantomeno molto". Le cose non andarono così. Il danese in questi anni ha sprecato molto e raccolto poco. Ora l'obbiettivo è fare a pari con le occasioni mancate.