Ackermann vince al Giro, Ciccone in blu. Ma It's a hard life

Il tedesco batte Elia Viviani e Caleb Ewan. L'abruzzese un giorno in fuga per i punti del Gpm. A Fucecchio suonano i Queen

Giovanni Battistuzzi

Aveva un obbiettivo blu Giulio Ciccone alla partenza del Giro d’Italia da Bologna, un obbiettivo blu montagna: fregarsene del tempo che passava, della pianura che scorreva e pedalare i più veloce possibile affianco ai portici che portavano al Santuario di San Luca. Era quello l’unico tempo che gli interessava, quello buono per assegnare la maglia del miglior scalatore. Giulio Ciccone è abruzzese, soprattutto è un tipo pratico, uno che sa che lottare per la maglia rosa non è affar suo, e forse nemmeno per il podio. E allora meglio fare bene ciò a cui si può ambire per davvero, essere il migliore quando la strada sale, indossare l’azzurro di una maglia importante, che ha fatto la storia del Giro, soprattutto quando, prima di esigenze di sponsor, era verde.

  


Giulio Ciccone (foto LaPresse)


  

Giulio Ciccone questa mattina da Bologna vestito di blu c’è partito davvero: primo obbiettivo centrato. E per non far sfumare la faticaccia di ieri, l’unico modo era quello di fare una faticaccia pure oggi. D’altra parte due erano i Gran Premi della Montagna verso Lamporecchio, due di troppo per poter sperare che nessuno riuscisse a superarlo. E così alla prima fuga buona si è accodato, ha dato manforte affinché prendesse il largo, si è dannato in salita per scremare il gruppo e non aver troppi rivali affianco. Perché “This is a tricky situation / I've only got myself to blame / It's just a simple fact of life / It can happen to any one” (È una situazione difficile / Ho solo me stesso da maledire / È solo un semplice fatto di vita / Può accadere a chiunque). Insomma, It’s a hard life. Parole e musica dei Queen.

 

 

Un anno fa Giulio Ciccone aveva rinunciato al suo obbiettivo blu montagna dopo il volo di Chris Froome tra le vette delle Alpi piemontesi. Gli è dispiaciuto, ha “rosicato”, ha ammesso, sperava in un finale diverso. Poi ha deciso che era giusto ricominciare da zero, nuovo Giro, nuova corsa: “Ci provo e aggiusto i pezzi rotti / ho provato a reagire alle lacrime / loro dicono sia solo una condizione psichica / Ma succede a tutti”.

 

Succede a tutti, il ciclismo è fatica. E faticano gli avanguardisti in cerca di un buon finale molte volte illusorio, e faticano gli sprinter che devono superare colline che non vorrebbero superare pur di dar sfogo alla propria velocità. Sempre la stessa storia, la stessa condizione: “This is a tricky situation / I've only got myself to blame / It's just a simple fact of life / It can happen to any one”.

 

Pascal Ackermann la salita la soffre meno di altri. Ha muscoli che sono razzi, ma una capacità di soffrire grande quanto il suo corpo. “Non mollo, mai”, aveva detto un anno fa al Giro di Romandia dopo cinque giorni infiniti di montagne. All’unica occasione buona aveva vinto. Non mollo, ha detto oggi. Si è messo davanti, ha stretto i denti e non ha perso un metro. Poi ha fatto quello che sa far meglio: andare veloce, più veloce degli altri. Più veloce di Elia Viviani, più veloce di Caleb Ewan.

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