Pantani, 20 anni dopo

Pantani de Beille

Giovanni Battistuzzi

Nel primo arrivo in salita del Tour de France il Pirata scatta e lascia Jan Ullrich a un minuto e quaranta. Sono le prove generali per l'impresa più grande

Un soffio ogni tanto si può trasformare in bufera. Specialmente quando viene da nord, attraversa la Francia, si carica di calore ed elettricità. O così almeno accade a quelle latitudini, sud dei Pirenei. O così almeno accadde quel giorno al Tour de France a Plateau de Beille, e poco importa che il cielo fosse lindo e il caldo fosse tornato a farsi sentire. La bufera ci fu comunque, a pedali, ma ci fu. La portò un romagnolo magrolino ma con la dinamite nelle gambe, la portò ascendendo, con una danza leggera, implacabile, violenta. Una bufera annunciata da una bandana che volava a bordo strada, da occhiali che fecero la stessa fine, da un occhiolino fatto a un compagno di squadra.

 

Mancavano quindici chilometri all'arrivo e la maglia gialla era tornata appena a splendere tra le prime posizioni del gruppo. Jan Ullrich però non splendeva, pedalava scomposto, affannato da due chilometri di rincorsa per una foratura. Ci aveva dato dentro per recuperare il prima possibile, aveva pure staccato i compagni di squadra che lo avevano aspettato. Non si fidava dei rivali, di quella nuova, ma nemmeno poi tanto, usanza di non attaccare il primo in classifica quando si attardava per problemi alla bicicletta. Quel modo di vivere il ciclismo l'aveva introdotto Felice Gimondi durante il Giro d'Italia del 1976 e tutti l'avevano trovato signorile, corretto, una buona pratica.

 

Mancavano tredici chilometri all'arrivo e Marco Pantani giudicò che il tempo della correttezza era giunto al termine. Guardò il tedesco, ma giusto un attimo, quasi a fargli capire che era venuto il momento. Il suo, quello dell'arrembaggio. "Il bello di Pantani è che lo aspetti e lui arriva. Come un treno, come un vento, come una ruspa, come una musica", scrive Gianni Mura. E il treno era in perfetto orario, il vento lo fece sentire agli altri, la ruspa era in modalità turbo, la musica una marcia di quelle talmente serrate e veloci che manda gli altri fuori tempo. Lo scatto di Pantani era un fioretto che si torceva e che si muoveva velocissimo, contro il quale poco ci si può fare se si aveva a disposizione solo una spada. Lo scatto di Pantani fu secco, cattivo. Fu uno soltanto questa volta. Come un Paganini montano non ripete. Perché non serviva. Il Pirata affondò e continuò ad accelerare, lo fece per quasi mezzo chilometro e quando si girò non c'era più nessuno. Non c'era Ullrich che si era messo alle sue spalle e aveva tentato di incollarsi lì. Non c'era Laurent Jalabert che aveva seguito la maglia gialla. Non c'erano Bobby Julich e Michael Boogerd che avevano capito prima degli altri che certe cose non andavano fatte, non si poteva inseguire una libellula.

 

 

Pantani si arrampicava verso la cima e recuperava uno a uno chi gli era davanti, mentre dietro il vuoto si faceva chilometro dopo chilometro più grande, più intenso, più bello.

 

In cima a Plateau de Beille il vuoto aveva superato il minuto quando arrivò lo svizzero Roland Meier, aveva raggiunto il minuto e quaranta quando oltrepassò il traguardo Jan Ullrich.

 

Dirà: "Non sono al massimo. Volevo solo dimostrare che non sono qui per turismo, vincere sull'arrivo più duro. Forse mi ritroverete a Deux Alpes, ma adesso non voglio parlare di classifica altrimenti mi viene il mal di testa come al Giro. Non è escluso che lotti per la maglia gialla". E poi: "Sono scattato bene, poi ho avuto dei momenti di flessione. So che posso andare più forte, ma non ho voluto usare tutte le energie. Avevo deciso di attaccare prima, ma Ullrich ha forato e ho aspettato che rientrasse. Non è sportivo attaccare uno che fora. Forse sono troppo spavaldo, ma voglio ricordare che io sono qui dopo aver vinto il Giro. Guardate la classifica e ditemi in quel periodo dov'erano gli altri".

Di più su questi argomenti: