Pantani, 20 anni dopo

Massi e Pantani diradano le nubi dei Pirenei

Giovanni Battistuzzi

La prima tappa di montagna al Tour de France del 1998 è una una fuga lunga come un giorno e uno scatto per saggiare la gamba di Ullrich

L'estate francese è un autunno pirenaico e una primavera italiana. Perché sarà stato luglio, ma quel 21 luglio del 1998, lassù tra le cime pirenaiche le nuvole coprono il cielo e si abbassano a sfiorare le strade, mentre sboccia la leggerezza ascensionale di minuti uomini dell'Italia a pedali. In quello scenario che accompagnava i corridori verso Luchon, su e giù per quei 196 chilometri di passi e lingue d'asfalto che si arrampicavano verso il maltempo, va in scena il volo e la redazione di Rodolfo Massi: 133 chilometri a far da apripista al Tour de France dieci anni dopo il tonfo di Santa Maria Capua a Vetere che gli ruppe il femore, una scapola e otto costole e che rischiò di fargli finire la carriera anzitempo. Il marchigiano parte che è mattina e per tutto il giorno fa vita da avanguardia alla ricerca di qualcosa di improbabile, ma che non lo era nella sua testa. E così tra "l'Aubisque e il Tourmalet incappucciati di nuvole", mentre "cade una pioggia fredda e sottile, la strada è scivolosa, la visibilità è minima, in certi punti sui dieci metri. In salita poco importa, ma in discesa si rischia la pelle, anche non andando fortissimo, perché a destra c' è la roccia e a sinistra il burrone", come scriveva Gianni Mura, Massi decide che il giorno della rivincita è arrivato, che era proprio quello il giorno per mettersi in pari con il destino. Destino che sarà stato gramo, ma vuoi mettere la soddisfazione di fare patta così, alla scoperta dell'effetto che fa l'impresa affiancato dall'amico e compagno di squadra Alberto Elli e da quel francese di coraggio e tigna infinita che è Cedric Vasseur. E poi, mentre gli altri due crollano, la solitudine più dolce, quella dell'uomo solo al comando. Dirà: "Devo ringraziare Elli per il lavoro fatto in discesa. La nostra idea sembrava temeraria, ma dopo il Tourmalet c'abbiamo creduto e con Alberto abbiamo deciso che questa nostra tattica poteva essere vincente".

 

Massi dal Col du Peyresourde plana su Luchon mentre dietro il gruppo sussulta, si affanna, divampa, acceso da un ragazzo mingherlino e pelato, che aveva lasciato il Giro d'Italia in maglia rosa ed era venuto in Francia diceva per obbligo di firma e che invece la Francia voleva conquistare. C'è Jan Ullrich che mena, ma nemmeno troppo indiavolato, avanti a tutti, mentre lui "saltabecca come un passero indeciso tra sei briciole", aspetta non si sa bene che cosa, forse un gesto, forse un'apparizione, forse un segno. Poi Marco Pantani scatta. Prende la destra della carreggiata e si invola. In pochi metri ne guadagna molti mentre Ullrich lo guarda, non si preoccupa, lo lascia fare. D'altra parte ha cinque minuti di vantaggio in classifica, e una discesa per recuperare. Perderà ventitré secondi all'arrivo. Un niente in classifica, moltissimo per il morale del Pirata.

 

 

Se ne accorgono i compagni che vedono Pantani finalmente sorridere. Se ne accorge Beppe Martinelli, ds della Mercatone Uno:"A Pantani dirò che è un asino. Continuava a dirmi che non stava bene e guardate che numero ha fatto. Non avevo torto nei giorni scorsi a trovarlo a posto come mai, è una fortuna lavorare con uno così". Se ne accorge il secondo in classifica generale, l'americano Bobby Julich: "In poco più di un chilometro ci ha preso quasi un minuto, e poi per fortuna nostra era tutta discesa. Ma domani, se Pantani attacca ai piedi dell'ultima salita, può fare un disastro". Se ne accorge Luc Leblanc: "Il Tour non lo vince Ullrich, lo vince Pantani. Mai visto uno andare così in salita". E forse se ne accorge pure Ullrich anche se non parla, ma guarda Pantani dopo l'arrivo, gli sorride tirato, se ne va.

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