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A Quimper è tempo di Sagan, il più amato della Francia che tradisce il Tour de France

Giovanni Battistuzzi

Alle vittorie dello slovacco i tifosi francesi esultano come fosse un loro connazionale. Il ciclismo internazionale del campione del mondo e quel gesto dopo l'arrivo che fa capire perché in molti lo amano. Dov'è finito però il Tour lontano dal percorso del Tour?

Quimper. I colori sono quelli, il blu il rosso il bianco, a cambiare è la disposizione e l’alternanza. Le tre strisce verticali del tricolore francese, il blu e il rosso ai lati del bianco, si trasformano in quelle orizzontali della Slovacchia, dove è il blu a essere compreso tra il bianco e il rosso. Ma poco cambia almeno al Tour de France, almeno tra i tifosi. Perché quando vince Peter Sagan i francesi esultano come se quel ragazzo in maglia verde, ora, o il maglia iridata, fosse uno di loro, come se fosse davvero si chiamasse Sagán o Sagân a seconda della regione. Oggi sullo strappo di Quimper lo slovacco era applaudito come fosse un francese e quando ha superato per primo la linea del traguardo e poi ha alzato le braccia al cielo per festeggiare il successo un boato si è alzato verso il cielo di Penvillerc’h, il sobborgo che domina la cittadina bretone.

 

 

Sagan è uno di casa ovunque perché forse rappresenta il volto più umano, simpatico e alla mano del ciclismo di oggi. Didier, settant’anni e “cinquantotto Tour visti in carriera”, almeno a suo dire, è stato tifoso di Raphaël Géminiani in gioventù, di Raymond Poulidor da adolescente, di Jean-François Bernard da adulto, “per una volta però ho abbandonato i corridori di casa e mi sono innamorato di uno slovacco. E’ la prima volta che tifo un vincente, ma ormai ho una certa età, mi sono fatto una concessione”. Ma non è solo questo: “E’ uno dei pochi che sa ancora emozionare. Lui e il vostro Nibalì sono perle che il ciclismo deve preservare”.

 

Non è il solo a pensarla così. All’arrivo un bambino di forse nemmeno dieci anni esulta e batte i piedi dalla felicità per il successo di Sagan. Ha una maglia da campione del mondo con su scritto Bora, lo sponsor della squadra di Peter, ha il sorriso che quasi gli arriva alle orecchie e occhi umidi, in tripudio. Il padre lo prende in braccio e corre verso la fine della strada, lì dove i corridori rallentano e girano o verso il parcheggio delle ammiraglie o verso la zona delle premiazioni. Sagan è prelevato da un energumeno che lo porta al podio, il bambino si sbraccia, chiama il suo campione che non può muoversi, ma saluta, fa ciao con la mano, manda un bacio al bambino, che sorride ancor più di prima.

 

 

Quimper è andata a letto gridando “nous sommes en finale” dopo il successo della selezione transalpina contro il Belgio ai Mondiali di calcio di Russia 2018, si è risvegliata tinta di giallo, ha smaltito la sbornia di ieri sulle strade che si arrampicavano verso le colline che la circondano.

 

Sarà il sole, caldo, il tempo, vacanziero, il periodo, calcistico, ma lontano da Quimper, sulle spiagge del Finistère, negli altri paesini di quella doppia lingua di roccia che si protende sull’Oceano atlantico, lì dove la terra finisce, almeno per i latini, lì dove si trova la “Penn-ar-Bed”, la punta del mondo, almeno per i bretoni, il Tour de France è il grande assente di questo inizio estate. Nei bar e nelle brasserie passano in continuazione partite di calcio, al massimo della musica. Ci sono i volti di Greizmann, di Deschamps, di Pogba, al limite di Lloris o Kanté a occupare le televisioni, non le biciclette, che “occupano i sogni di luglio di tutta la Francia”, almeno stando a quel che scriveva verso la metà degli anni Settanta il cantautore francese Georges Brassens. Il Tour riempie le strade, a vederlo ci sono interi paesi, un filone quasi continuo di persone, ma tra le immagini sugli schermi giace dimenticato. “Luglio ha un solo suono, Tour de France”, diceva Jacques Goddet, patron della corsa dal 1947 al 1986. “Il suo suono raggiunge tutta la Francia e tutti i francesi, nessuno ancora lo ha tradito”. Almeno sino a oggi.

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