Valverde sveglia il Tour. Dumoulin attacca, Thomas vince

Giovanni Battistuzzi

Nella seconda tappa alpina il gallese della Sky conquista la tappa e la maglia gialla (davanti all'olandese a Froome), beffando Nieve in fuga dal mattino. Lo spagnolo della Movistar anima il gruppo sul Col du Pré

C'è fame e resistenza sotto il Piccolo San Bernardo, a La Rosière, dove si concludeva l'11esima tappa del Tour de France 2018. Quella di Geraint Thomas, che doveva essere la miglior ombra di Chris Froome sulla carta, ma intanto è vincitore e maglia gialla. Quella di Tom Dumoulin, secondo di ardore e cattiveria. Quella del capitano della Sky, alle spalle del compagno sì, ma con la consapevolezza di non essere da meno a nessuno. E quasi dispiace che ci sia tutto questo e non il sorriso basco di Mikel Nieve che esplora le Alpi savoiarde per tutto un giorno e si ritrova in riserva quando serviva invece avere almeno un minimo di benzina per andare avanti, per raggiungere l'arrivo. Un piccolo calcolo sbagliato che incide una smorfia di disappunto sul suo volto, quella che non si trova invece in quella di Damiano Caruso, anche lui avanguardista dal mattino, ma almeno soddisfatto di aver cullato il realismo e non l'utopia. Punti di vista che sono anche storia di un luogo. Questo.  

 

 

Erano soltanto in qualche centinaia a Roselend e avevano fatto bene i calcoli. Mica volevano fare la fine di quelli di Tignes che piuttosto di lasciare le loro zone avevano iniziato la guerriglia. C'era una Francia bisognosa di elettricità e un paesello che si opponeva alla diga. Non poteva andare a finire bene: il bacino idrico fu fatto, uomini e donne furono trasferiti e vennero pagati meno di quello che avrebbero potuto ottenere sedendosi al tavolo delle trattative. A quel tavolo gli abitanti di Roselend si sedettero, l'assegno che arrivò da Parigi fu più che buono, e tra il Col de Pré e il Cormet de Roselend comparve una macchia azzurra che richiamava pure i turisti. "Ci voleva un azzardo per animare una valle che stava in ogni caso morendo", disse nel 1963, un anno dopo l'inaugurazione della diga, Maurice Tréssier, uno degli uomini che portò avanti la trattativa e che con parte dei fondi ottenuti fondò la cooperativa casearia Beaufort, arrivata a commercializzare oltre cinque tonnellate e mezzo di formaggio in tutta Europa.

 

Ci voleva un azzardo anche per animare un Tour de France che per dieci tappe ha dormicchiato, almeno per quanto riguarda la lotta tra gli uomini di classifica, stretto com'era tra il caldo, percorsi non troppo spettacolari, paura di andare fuori giri e forza del Team Sky. E così è arrivato quello di Alejandro Valverde nel salire verso il Col de Pré, poi quello di Tom Dumoulin nel discendere dal Cormet de Roselend. Un gioco di coppia improvvisato il loro, nato da un gioco di doppia coppia: quella Movistar composta dal El Imbatido e Marc Soler, quella del Team Sunweb formata dal Tanke e da Soren Kregh Andersen. Gregari da traino, apripista da avanguardia, compagni da affidare il transito a valle e quello blando dell'ultima avventura alpina verso La Rosière. 

 

E mentre davanti la fuga si riduceva a un manipoli di gente tosta e di fatica e dietro gli uomini in bianco non si scomponevano, continuavano a muovere i pedali seguendo il solito spartito in allegretto, in mezzo si tentava di dar sfogo alla fantasia. Perché ci vuole fantasia per provare a riscrivere il già scritto, ossia un altro lungo monologo di uomini in fila dietro la motrice Sky. Perché bisogna correre il rischio di farsi male per cercare di far saltare un manipolo di bulldozer messi a difesa del più forte corridore in circolazione, Chris Froome. Fantasia e gambe, quelle che l'olandese ha dimostrato di avere salendo di ritmo e ostinazione, quelle che Valverde ha bruciato prima della linea di arrivo, dimostrando che il suo diniego ripetuto di tirare non era tattica, abominio per un pasionario come lui, ma fatica e fatica cane.

 

La stessa che ha bastonato, ma prima, molto prima, i respinti di ieri: nell'ordine Rigoberto Uran, Bauke Mollema, Bob Jungels, Rafal Majka e Ilnur Zakarin. Quella che ha stretto pure Adam Yates, Jakob Fuglsang e Mikel Landa. 

 


Foto LaPresse


  

Mentre la combriccola delle gambe dure veniva spinta indietro, a valle, quella delle gambe buone si esibiva in una danza a pedali di piccole fughe e grandi inseguimenti, di spazio e tempo che si accorciavano e dilatavano a seconda della volontà degli interpreti. C'era il treno della Sky a fare ritmo per tentare di riprendere Dumoulin e allo stesso tempo annichilire le velleità degli avversari. E quando piano piano ha perso i vagoni e sono rimaste le due locomotive ecco che Thomas e Froome hanno iniziato a giocare con tutti e forse anche tra loro. Il primo si è fatto inseguire, il secondo ha inseguito. Il primo è fuggito da tutti, il secondo da chi aveva ambizioni di podio. Il keniano d'Inghilterra ha lasciato dietro Romain Bardet, Nairo Quintana e Vincenzo Nibali ed è già molto. Ora ha davanti il gallese e chissà che non sia un bene per lo spettacolo e pure per gli altri.

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