Chris Froome sul Colle delle Finestre, Cima Coppi del Giro d'Italia 2018

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Froome con 80 km di fuga ribalta il Giro d'Italia (e anche se stesso)

Giovanni Battistuzzi

La maglia rosa Yates va in crisi, il keniano scatta sullo sterrato della Cima Coppi del Colle delle Finestre. Lo rivedranno al traguardo dello Jafferau. E' lui la nuova maglia rosa. Ribaltare è la parola della Treccani al Giro101

Lì dove gli abeti ancora proteggevano il passaggio dei corridori dagli occhi del cielo, la maglia rosa salutava tutto: avversari, sogni, ambizioni. Ma non come avrebbe voluto. La sua era una resa, non un attacco. Il suo volto si scuriva, le sue forze scomparivano, la sua corsa si tramutava in calvario. Mancavano poco meno di 90 chilometri al traguardo e la favola di Simon Yates si interrompeva sulle rampe della Cima Coppi del Giro d'Italia 2018, il Colle delle Finestre.

 

Lì dove gli abeti stavano scomparendo lasciando spazio a rocce e prati coperti di neve, Chris Froome si guardava attorno, osservava le facce stanche dei superstiti della fatica, l'orizzonte apririsi, l'asfalto scomparire per diventare ghiaia, la strada diventare sentiero. E' in quel momento, a 80 chilometri dallo striscione d'arrivo, che al keniano d'Inghilterra è venuto in mente di fare la chiappucciata, l'attacco che nessuno si aspettava o almeno non lì, o almeno non da solo. Froome è diventato esploratore, viaggiatore solitario di montagne, avanguardista di un ciclismo che sembrava in bianco e nero, ma che in bianco e nero non era. E' al massimo ipermoderno il capitano della Sky, attento ai dati impressi sul suo computerino. Quei dati che gli dicono quando spingere e quando rallentare. Quei dati che però oggi erano abbastanza per strapazzare tutti, che gli dicevano ribalta tutto, fai quello che devi: ossia vincere. E lui tutto ha ribaltato: la tappa, il Giro e pure una carriera che lo aveva etichettato come robot, come pedalatore radiocomandato dall'ammiraglia. Voleva dimostrare di non esserlo, di avere gli attributi disse al Guardian. Missione compiuta.

 

Ribaltare. Dal vocabolario Treccani: v. tr. e intr. [der. di balta1, col pref. ri-]. – 1. tr. Rivoltare, capovolgere, fare assumere una posizione contraria o opposta rispetto a quella normale o precedente: r. il piano di carico di un autocarro, per scaricare carichi liquidi o alla rinfusa (rena, ghiaia, carbone, ecc.); r. il coperchio di una cassa; r. un tavolino, una sedia, un secchio; l’urto ha quasi ribaltato la vettura. In geometria, r. un piano sopra un altro, eseguire l’operazione di ribaltamento (v.). Per un sistema ottico, dare immagini la cui destra corrisponde alla sinistra degli oggetti, e viceversa, come avviene, per es., per uno specchio piano. Con uso fig., mutare completamente, modificare del tutto: i risultati del voto hanno ribaltato le previsioni. 2. intr. (aus. essere) Rivoltarsi, rovesciarsi, spec. di veicoli: l’automobile, dopo l’urto contro il parapetto, ribaltò nel fosso; il cavallo imbizzarrito fece r. la carrozza; il camion è ribaltato nel torrente. Anche con la particella pron.: la macchina, dopo aver sbandato, si è ribaltata. Per estens., anche delle persone che si trovano nel veicolo ribaltato o che vengono gettate giù dal veicolo: siamo ribaltati giù per una scarpata.

 

E un ribaltamento è stato. Perché Simon Yates il colore della sua maglia se lo era meritato dal primo all'ultimo centimetro di tessuto. Aveva attaccato, osato, vinto, dimostrato una superiorità lampante in salita, una resistenza mentale sorprendente, il sorriso di chi prende il ciclismo per quello che è: una bellezza, anche se dura, anche se terribile. Peccato per come è finita. Perché Yates che si stacca, che va in crisi, che lascia ogni speranza sul Colle delle Finestre, apriva a Tom Dumoulin le porte della doppietta rosa, a Domenico Pozzovivo la possibilità di giocarsi tutto, anche la vittoria finale a Roma. E invece nulla di questo è successo, Froome è scattato, forse ha pensato "lo faccio davvero?" e mentre se lo chiedeva era già partito, aveva già iniziato quel suo perfetto sottosopra.

 

Un sottosopra nel quale è caduto il Tanke, che forse era incredulo nell'osservare quello che stava accadendo, che forse ha pensato "tanto lo andiamo a prendere, dove vuole andare?", ma che giù per il Colle delle Finestre e poi su per il Sestriere e di nuovo a discendere, a rimboccare la val di Susa, a scalare il Monte Jafferau, continuava ad andare e ad andare da solo, senza nessuno a fianco, con cinque mastini a rincorrerlo, ma da lontano, senza nemmeno potergli vedere la schiena.

 

E così lì, sotto lo striscione d'arrivo, Froome si presenta solo, dopo aver trascinato la sua anima lunga mulinando i pedali per le Alpi Cozie, sorridendo, alzando il pugno al cielo, con la cattiveria che compete a chi ha fatto qualcosa di pazzesco, impossibile da prevedere. Il cronometro parla di minuti. E tanti. Tre a Richard Carapaz, e su a salire per Miguel Angel Lopez, per Thibaut Pinot, sino a raggiungere i 3'27" per Tom Dumoulin, i quattro inseguitori più vicini. Poi il baratro. Sei minuti per Sebastian Reichembach, oltre otto per Davide Formolo, Domenico Pozzovivo, Sam Oomen, Pello Bilbao, Patrick Konrad e George Bennett. Per tutti gli altri c'è la doppia cifra, per Simon Yates una mezz'ora che vuol dire riprovaci, quest'anno è andata male, il prossimo chissà.

 

E non è finita qui.

 

Domani si sale verso la Valle d'Aosta. E verso Cervinia andrà in scena l'ultima faticaccia di un Giro che è ancora aperto, che può dire ancora tutto, nonostante abbia detto già tanto, tantissimo. Perché c'è un Dumoulin che oggi ha perso, non ha conquistato la Rosa, ma che non è ancora fuori dai giochi, nonostante le difficoltà, il ritardo, il volto lungo, nero, di chi sa di aver perso il treno giusto, l'occasione per fare la storia.

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