Facce da Milano-Sanremo /2. Demuysere e un amore grande come una Classicissima

Giovanni Battistuzzi

L'edizione del 1934 è stato un pegno d'amore che arrivava direttamente dal Belgio. Storia della Locomotiva delle Fiandre e dell'impossibile divenuto reale

Non era bello, ma era alto, "dritto come un tronco, con due spalle larghe che sembravano erculee", aveva occhi chiari e profondi, "una voce magnetica che era una piacere udire" e un fascino "d'uomo antico, d'un Ottocento finito, che traspariva in modi eleganti e raffinati", scriveva sulle colonne del Het Nieuwsblad, Léon van den Haute. Jef Demuysere era nato nelle Fiandre, a Wervik. Con la bici iniziò da ragazzino, ma il pavé non era mai riuscito ad amarlo, così come non era mai riuscito a voler bene alla pioggia e al freddo. Preferiva il sole a picco sulla schiena, il caldo, anche se asfissiante. Raccontano che sulla bici era in grado di fare quello che voleva, che per far colpo sulle donne si mettesse in piedi in equilibrio sul sellino e andasse avanti così decine e decine di metri. Raccontano che le donne fossero la sua grande passione e che nell'arte della seduzione fosse un maestro, perché con loro si comportava come se fosse in bicicletta: non mollava mai. D'altra parte uno come Jef Demuysere altro non poteva fare: in salita non eccelleva e lì mai una volta era riuscito a sbarazzarsi degli altri, in volata annaspava e solo due volte era riuscito a superare tutti, ma era uno sprint per il terzo posto, e in discesa male non era, ma di involarsi non era capace. Quello che poteva fare, l'unica cosa che gli era consentita era mettersi davanti a tutti e andare di ritmo sino a quando gli altri si stancavano sino a mollare, lo chiamavano la locomotiva delle Fiandre proprio per questo. Con le donne era uguale. Stava loro a presso, raccontava loro storie, le avvolgeva di parole sino a quando queste non gli si concedevano.

 

Un giorno, al ritorno di un allenamento, Jef Demuysere ne vide una che lo colpì a tal punto che tutte le altre scomparvero. Ma Wervik era un piccolo paese, come era piccolo Ypres, quindici chilometri più a nord, e le voci sul suo essere tombeur de femmes giravano facilmente, da casa a casa, da luogo a luogo. Giravano a tal punto che il padre di questa ragazza poco apprezzava che quel corridore puntasse alle sottovesti della propria figliola. E così lo cacciò, lo minacciò, gli negò di vederla. Lui era però locomotiva, aveva la testa dura e non mollava mai. Raccontano che arrivò a dire: "Vado in Italia e vinco la Milano-Sanremo", che era la corsa più difficile da vincere per uno con le sue caratteristiche. Raccontano che il padre della ragazza rispose che quello era l'unico modo per poter rivedere sua figlia.

  

 

La Milano-Sanremo del 1934

E così Jef Demuysere scende a Milano e alle 7,30 del 26 marzo 1934 parte con altri centocinquanta corridori verso la Riviera ligure. Il sole è caldo, il vento soffia da sud e nemmeno una nuvola offuscava il cielo. Demuysere si ritiene fortunato. Sul Passo del Turchino Michele Orecchia (Gloria), col compagno di squadra Giovanni Cazzulani, il belga Feliciene Vervaecke (Ganna), gli isolati Allegro Grandi, Herbert Sieronski, Giuseppe Cassin precedono il gruppo di oltre sei minuti, ma il fiammingo non si scompone, non è lassù, sul tetto della Classicissima, che si vince. A Laigueglia i fuggitivi sono ripresi, sul Capo Mele Francesco Camusso scatta a ripetizione, ma quando si gira vede che alla sua ruota sono presenti ancora Giovanni Cazzulani e Jef Demuysere. Finita la discesa, da Marina di Andora a Diano Marina, il fiammingo si mette davanti ai tre, la sua è un'accelerazione continua che svuota i rivali. Sul Capo Berta è solo, in discesa si prende qualche rischio, aumenta il distacco, non si fida di Camusso, non si volta mai, non rallenta più sino a Sanremo. Dopo l'arrivo sorride: sposerà il suo amore. Dopo quel giorno lo soprannominarono, almeno in Italia, la belva. Una belva con un cuore grande come la Classicissima.

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