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Facce da Milano-Sanremo /3. L'impresa di Gimondi negli occhi di Torriani

Giovanni Battistuzzi

La 65esima edizione della Classicissima doveva essere la grande sfida tra il campione bergamasco ed Eddy Merckx. Divenne il trionfo di Felice

Per mesi e mesi aveva lavorato come un mulo, aveva preparato tutto, perché tutto doveva essere perfetto, non si poteva sbagliare. Le sopracciglia calate sugli occhi stanchi, quelle sopracciglia eleganti, che seguivano l'andamento del suo umore. Aveva preso accordi con l'Anas per le strade, con il Comune per la banda e le ultime modifiche richieste alla viabilità, con le squadre per l'iscrizione dei migliori atleti. E finalmente quelle sopracciglia si potevano rilassare, inarcarsi per bene per godere della gioia di quegli occhi chiari in quel viso un tempo pacioso e che ora si stava arricchendo d'espressioni all'aumentare delle rughe. Per Vincenzo Torriani, patron del Giro d'Italia e delle altre corse organizzate dalla Gazzetta, quella Milano-Sanremo doveva essere la corsa più importante dell'anno: e non solo perché era la prima grande corsa della stagione, soprattutto perché doveva essere la bella tra Felice Gimondi ed Eddy Merckx. L'anno prima l'italiano aveva vinto il Mondiale di Barcellona, il belga il Giro di Lombardia, ma quella vittoria era saltata a causa della presenza nelle sue urine di norefedrina, sostanza proibita ma presente dentro un farmaco per la cura della bronchite. Il Lombardia andò al bergamasco e il belga si beccò un mese di squalifica.

 

Merckx aveva già fatto sapere a tutti che voleva rifarsi. Gimondi pure, ma con gentilezza e in silenzio, com'era solito fare. Torriani si sfregava le mani: televisioni di tutto il mondo avrebbero visto la corsa, la Riviera e uno spettacolo eccezionale.

 

Ma le sopracciglia di Torriani esultarono per poco. Dal Belgio parlavano di un Cannibale a letto con febbre alta e tosse dopo il rientro dalla Parigi-Nizza, febbre e tosse che divennero ancora bronchite e bronchite che si trasformò in forfait: niente Sanremo. E anche dalla val Brembana le notizie riportavano di un Gimondi con la faringite e a forte rischio partecipazione. Certo c'erano gli altri, ed erano nomi di grande fama e fascino, nomi belgi come Roger De Vlaeminck o Patrick Sercu, Rik Van Linden o Freddy Maertens, nomi italiani come Francesco Moser o Franco Bitossi, Marino Basso o Italo Zilioli. Il grande evento, la grande sfida, sembrava però ormai saltata.

 

Il bergamasco quel 18 marzo 1974 si presentò comunque al via, nonostante la pioggia e il freddo meneghino. La corsa iniziò e Felice iniziò a tremare. "Prova a fare un po' di chilometri e vediamo come va", gli dissero dall'ammiraglia. Lui iniziò a pedalare e guardando la sua maglia iridata si convinse a provare. Sul Turchino il tempo iniziò a stabilizzarsi e le nubi si decisero a non scherzare più i corridori. C'erano Costantino Conti e Marc Demeyer avanti a tutti con oltre cinque minuti di vantaggio. Giù dal Turchino però la strada era ancora bagnata. De Vlaeminck tentò l'allungo per vedere l'effetto che faceva e l'effetto fu uno sgretolamento del gruppo. Rimasero in venti davanti, tra loro Gimondi.

 

La Riviera, diceva Eugenio Montale, "fa bene al fisico e all'anima", e Felice in Riviera si sentiva rinfrancato. Pedalava bene, respirava meglio e già che c'era scattò. Lo fece a San Lorenzo al Mare, ventidue chilometri all'arrivo: con lui rimasero solo Huysmans e Demeyer. Lo rifece ad Arma di Taggia e alla sua ruota non rimase nessuno. Gimondi non si girò, la sua maglia con l'iride diventò un puntino davanti ai due inseguitori che litigarono come hanno sempre fatto e si fecero riprendere. Dietro iniziarono a mettersi pancia a terra per provare a rientrare, ma sul Poggio Felice iniziò a volare, giù dal Poggio planò e quando arrivò solitario a Sanremo fu un tripudio di evviva. Le sue mani al cielo, i suoi occhi semichiusi come quelli di uno che non può credere che quella sia la realtà, il sorriso quello di un uomo che ha capito di aver fatto l'impresa. Dietro a lui un altro uomo sorrideva, un misto di gioia e fierezza, sotto occhi aperti di incredulità e sopracciglia ad arco di felicità pura.

 

 

Torriani ringraziava Gimondi e il Signore che male non era andata, che anche se con Merckx non era stato duello in corsa, quello di Felice era stato duello con la storia. Mai il Cannibale aveva staccato il secondo di 1'53". Era da Fausto Coppi nel 1948 che un distacco del genere non appariva nell'ordine d'arrivo della Classicissima. Ritornò quel 18 marzo del 1974, con un'iride da sola al comando e un patron incredulo in macchina.

 


 

Le prime due puntate di Facce da Milano-Sanremo