Metodo Sikorski

Il ministro polacco Sikorski spiega come spaventare Putin

Micol Flammini

Un nuovo videogioco russo, la statua di Prigozhin e le prove finte sui mandanti di Kyiv al Crocus

In Russia è uscito un nuovo videogioco, si chiama “Smuty” (Torbidi), e si riferisce a quel periodo di tormenti e di instabilità che precedette l’arrivo dei Romanov  caratterizzato da anarchia e dalle incursioni dei polacchi e dalle rivendicazioni al trono del “finto Dmitry”. Il videogioco è stato un fiasco, chi lo ha provato se ne è lamentato molto, qualcuno ha chiesto i soldi indietro. E’ un prodotto finanziato da un istituto che ha  il compito di diffondere contenuti patriottici su internet e un videogioco in cui si rincorrono i polacchi in battaglia è parso di grande interesse.  Non soltanto la Polonia è spaventata dalla guerra del Cremlino in Ucraina, ma anche la Russia ha sempre avuto una sua ossessione per i polacchi, la loro storia, e il loro ardimento. Questa settimana, durante la riunione in cui i ministri degli Esteri dei paesi della Nato si sono incontrati per festeggiare i sessantacinque anni dell’Alleanza atlantica, il polacco Radoslaw Sikorski ha detto che si può battere la Russia, ma bisogna rafforzarsi a tal punto da dimostrare al Cremlino che per quanto voglia trascinare per anni la sua guerra, gli alleati saranno pronti. Quindi, ha detto Sikorski, bisogna armarsi, fare programmi a lungo termine, dimostrare a Vladimir Putin che non gli conviene attaccare la Nato, deve avere la consapevolezza che non può spuntarla contro paesi venti volte più ricchi del suo e pronti, se necessario, ad affrontare una guerra che duri anni.

 

Sikorski ha annunciato l’arrivo di una missione di coordinamento dell’Alleanza in Ucraina e la Russia ha risposto che monitorerà da vicino. Il suggerimento del ministro polacco è di non farsi vedere spaventati, non mostrarsi rinunciatari: questi atteggiamenti sono inviti per il Cremlino. La Polonia, come i paesi baltici, come la Repubblica ceca, è sicura che una sconfitta dell’Ucraina renderà Mosca più sicura dei suoi mezzi, le farà capire che l’Alleanza è limitata e che mordicchiare parte del territorio di un paese della Nato un po’ alla volta non porterà a un conflitto più grande. Polacchi e russi si studiano e si conoscono e se Putin dice che un giorno la guerra potrebbe allargarsi, Sikorski sa che va preso sul serio. Se la Polonia cerca di svegliare la Nato, il Cremlino spera che non venga ascoltata. Il rapporto tra le due nazioni è spiegato anche dal videogioco patriottico ma di scarso successo.  Qualche giorno fa, il ministero della Difesa di Mosca ha annunciato  che dopo l’attentato alla sala concerti Crocus, era aumentato il numero dei russi pronti ad arruolarsi per andare a combattere in Ucraina.

 

E’ un’informazione difficile da verificare. Secondo i sondaggi non sono pochi i russi che  ritengono  dietro l’attentato del 22 marzo ci sia l’intelligence di Kyiv: la propaganda russa, senza neppure aspettare la rivendicazione dello Stato islamico, ha subito accusato l’Ucraina, pensando di poter utilizzare la tragedia per giustificare la sua guerra. Programma dopo programma, dichiarazione dopo dichiarazione, lo spazio informativo ristretto della Russia ha convinto parte dei cittadini, ma non è abbastanza per convincerli ad andare in guerra da volontari. Che non sia stato abbastanza lo dimostra anche il fatto che la propaganda continua a fabbricare prove. Ieri gli investigatori russi hanno detto di aver scoperto ulteriori dettagli sul coinvolgimento di Kyiv, comprese le foto della bandiera ucraina nel telefono di uno degli attentatori. Un altro dettaglio è che l’aggressore avrebbe inviato al suo mandante una foto degli ingressi del Crocus proprio il 24 febbraio, a due anni dall’inizio dell’invasione, quasi fosse un omaggio o la promessa di vendetta. A suffragare le scoperte degli investigatori ci sarebbe anche la confessione di uno di quegli uomini di origine tagica torturati dalle forze dell’ordine russe e trascinati in Tribunale. Il Cremlino sta usando l’attentato al Crocus per compattare la società russa attorno all’idea dell’assedio, per accrescere i sentimenti contro l’occidente, per fomentare l’idea della nazione fortezza che deve proteggersi con ogni mezzo.

 

Tutto quello che sta accadendo in Russia, e l’idea di una possibile mobilitazione, nonostante i  cinquantamila  soldati morti al fronte, sono il segnale che il Cremlino non ha alcuna intenzione di rinunciare all’invasione, è anzi pronto a farla più grande e non importa se i risultati sul campo non sono trionfanti come li rivendica la propaganda, Putin vuole andare avanti e Sikorski ha capito qual è l’unico modo per fermarlo: fargli vedere il costo di una guerra a oltranza contro tutti.  Nella regione di Krasnodar, nella Russia meridionale, secondo il canale telegram della compagnia di mercenari Wagner, è stata eretta una statua in onore di Evgeni Prigozhin, ucciso la scorsa estate dopo la rottura con Putin. Il capo della Wagner aveva provato a sfidare il Cremlino, era arrivato con i suoi uomini armati fino  alle porte di Mosca, poi era tornato indietro. Da quel momento alcuni blogger militari hanno cominciato a chiamarlo un  “morto che cammina”. La guerra non è cambiata granché senza Prigozhin, Putin ha solo dimostrato che si combatte come dice lui.

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.