disinformazione

Anche Pechino interferisce nelle elezioni. Il caso del Canada

Giulia Pompili

Le campagne per screditare i nemici della Cina e far eleggere gli amici. I lavori della commissione d'inchiesta voluta da Trudeau e la vicenda del parlamentare Han Dong, votato dagli studenti in gita 

L’altro ieri sono iniziate in Canada le audizioni della Commissione sulle influenze straniere “nei processi elettorali federali e nelle istituzioni democratiche”, voluta dal governo di Justin Trudeau per capire se e come Russia, Cina e altri paesi abbiano influenzato soprattutto le elezioni federali del 2019 e del 2021. In realtà, già dai primi report della commissione, che ha iniziato i suoi lavori a gennaio, sembra chiaro che soprattutto Pechino si sia impegnata molto per cercare di interferire nelle ultime elezioni canadesi. Secondo quanto rivelato l’altro ieri, già una settimana prima del voto del 2021 l’intelligence di Ottawa aveva diffuso una nota per avvertire le istituzioni del fatto che il ministero della Sicurezza cinese era “principalmente motivata dal desiderio di coltivare relazioni o sostenere candidati politici o candidati in carica che sembrano ricettivi o che promuovono attivamente i punti di vista della Repubblica popolare cinese”. Sempre secondo l’intelligence canadese, elementi legati alla leadership cinese, come i gruppi locali affiliati al Dipartimento di Lavoro del Fronte Unito, avevano identificato i politici canadesi con posizioni dure nei confronti di Pechino, e li avevano colpiti con campagne di disinformazione e fake news nel tentativo di convincere gli elettori a non votarli. Il 2021 è stato un anno cruciale nelle relazioni fra Canada e Cina: nel settembre di quell’anno, dopo quasi tre anni agli arresti, i cittadini canadesi Michael Kovrig e Michael Spavor erano stati rilasciati. La loro detenzione, definita arbitraria e senza accuse concrete, era una ritorsione da parte della Cina contro il Canada che aveva arrestato Meng Wanzhou, direttrice finanziaria del colosso cinese delle telecomunicazioni Huawei. Quell’episodio, che si era concluso poi con la liberazione dei tre – sostanzialmente uno “scambio di prigionieri” – cambiò per sempre l’opinione pubblica canadese nei confronti di Pechino, e così anche la politica. 

 


L’altro ieri la commissione d’inchiesta guidata dal giudice del Quebec Marie-Josée Hogue ha ascoltato Han Dong, quarantasettenne nato a Shanghai e cresciuto a Toronto dall’età di tredici anni. Dong, che è entrato in politica nel 2013, nel 2019 è stato eletto parlamentare federale con il partito liberale guidato da Trudeau. Lo scorso anno anche lui è finito in una delle decine di inchieste giornalistiche con cui negli ultimi tre anni i media canadesi hanno svelato i vari tentativi cinesi di infiltrarsi nelle istituzioni. Secondo il Global News, subito prima del voto, l’intelligence canadese aveva fatto il suo nome al Partito Liberale, per dire che era sospettato di far parte di un “network di interferenze”.

 

Poi erano uscite le notizie sul suo ruolo di “consigliere informale” del consolato cinese soprattutto durante la detenzione dei due Michael. Durante la testimonianza alla commissione l’altro ieri, Han Dong, che nel 2021 si è dimesso dal partito Liberale e ora è un parlamentare indipendente, ha ammesso che gli studenti di una scuola superiore erano stati portati in pullman al suo seggio durante le primarie del 2019 per votare per lui: secondo l’intelligence canadese un “agente d’influenza cinese” avrebbe fornito agli studenti i documenti falsi per permettergli di votare per Dong (secondo la legge canadese, solo i residenti del distretto oltre i 14 anni possono registrarsi e votare alle primarie del partito).  Dong ha affermato di essere a conoscenza delle scolaresche in gita, ma di non sapere chi avesse organizzato e pagato i pullman. La notizia degli studenti sostenitori di Dong è stata rivelata in un report dell’intelligence in parte desecretato durante la commissione d’inchiesta, dove si legge che i ragazzi erano stati “velatamente minacciati” dai membri del consolato cinese e costretti a sostenere Dong. L’ambasciata cinese in Canada sin dal 2019 nega di fatto ogni coinvolgimento o tentativo di interferenza nel processo democratico del paese, eppure secondo alcuni osservatori le fughe di notizie di questi anni, passate sempre più spesso dai servizi segreti ai media, dimostrano anche una sorta di frustrazione da parte dei membri della comunità dell’intelligence nei confronti delle istituzioni, troppo lente a rilevare le criticità. La commissione sulle interferenze dovrebbe concludere i suoi lavori all’inizio di maggio. 

Di più su questi argomenti:
  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.