gli audio di budapest

L'ex orbaniano che sfida Orbán e porta gli ungheresi in piazza

Micol Flammini

In Ungheria c’è uno scandalo politico nato da una crisi famigliare: la coppia Varga-Magyar, sbandierata come modello dell’orbanismo, si è separata. Le conseguenza sulla politica del paese

In Ungheria c’è uno scandalo politico nato da una crisi famigliare, in cui il piano personale e quello nazionale si intrecciano, ma che insegna anche come trasformando un partito in un cerchia di amici intimi, si rischia di litigare, si diventa avversari e nessun nemico ti conosce bene come colui che un tempo ha mangiato, bevuto, governato, festeggiato al tuo fianco. Viktor Orbán fa poche uscite, non parla molto perché c’è un uomo che lo conosce bene e che organizza manifestazioni contro di lui. Péter Magyar è stato sposato con Judith Varga, ex ministra della Giustizia, alla quale Orbán voleva anche affidare la campagna elettorale per le elezioni europee. Varga ormai si è nascosta dalla politica dopo che il suo ex marito ha pubblicato un audio in cui si sente la sua voce accusare di corruzione membri importanti di Fidesz, il partito di Orbán. Quando Magyar fece uscire il nastro, Varga si dimise e lo accusò di averla picchiata e maltrattata.

I due erano una delle coppie modello dell’orbanismo, il nucleo tradizionale di cui il primo ministro ungherese ama parlare, e la loro rottura con tanto trambusto ha riportato alla memoria la fuga di József Szájer seminudo per i tetti di Bruxelles  dopo che la polizia belga aveva fatto irruzione in un locale in cui si teneva un’orgia tra uomini durante la pandemia. Szájer era all’epoca un eurodeputato, collaboratore storico di Orbán e autore della riforma costituzionale voluta dal premier per dimostrare che l’Ungheria era il bastione dei valori tradizionali. La coppia Varga-Magyar, sbandierata come modello dell’orbanismo, sulla solidità di questi valori ha fatto lo stesso effetto dell’immagine di Szájer in fuga dalla polizia, ma l’impatto su Orbán potrebbe essere più distruttivo. 

Dopo aver pubblicato l’audio, Magyar si è dimesso dal consiglio di amministrazione della banca Mbh, ed è stato il segnale che ormai era pronto alla battaglia usando dei toni e degli argomenti che possono smuovere gli ungheresi. Ha accusato Orbán di “nascondersi dietro alle gonne delle donne”, usando come capri espiatori Varga e l’ex presidente Katalin Novák, che si è dimessa per la grazia a un uomo che aveva costretto i bambini a ritrattare accuse di abusi: Varga aveva poi firmato quella grazia. Orbán aveva fatto poco per difendere le sue alleate, aveva atteso che la situazione si calmasse, tanto il panorama mediatico ungherese ha abbandonato da tempo il pluralismo e i temi e i toni di stampa e televisioni li decide il premier. Invece è arrivato Magyar ad accusare il governo di spendere centinaia di milioni di euro per la propaganda e a indire una manifestazione, alla quale hanno partecipato migliaia di persone a Budapest: la prima è stata il 15 marzo e oggi ci sarà la seconda protesta.

Magyar e Varga hanno tre figli, lui tempo fa aveva annunciato un passo indietro dalla carriera per occuparsi della famiglia. Dal ritiro, Magyar è passato invece all’irruzione nella politica ungherese che finora non è stata smossa neppure dalle coalizioni dell’opposizione, che nelle elezioni di due anni fa aveva provato a mettere in piedi un’alleanza tra partiti discordanti in tutto fuorché sulla necessità di battere Orbán. La coalizione non arrivò lontano, il primo ministro vinse con agilità. Magyar però ha un altro tocco, denuncia l’orbanismo dall’interno, e ha gli audio della sua ex moglie sulla corruzione. Poi c’è quell’ossessione per i nastri tutta ungherese: nel 2006, il primo ministro socialista appena eletto Ferenc Gyurcsány ammise a porte chiuse di aver mentito in campagna elettorale  agli ungheresi e di aver nascosto la gravità della situazione economica del paese. Il suo discorso venne registrato, qualcuno lo inviò a una radio che lo trasmise. Quando tre anni dopo gli ungheresi votarono di nuovo, non si fidavano più del Partito socialista, cambiarono, votarono Orbán. 

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  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.