Joe Biden e Mohammed bin Salman (foto Ansa)

fare la pace

Biden crede ancora in Abramo, ma per gli arabi normalizzare stanca

Luca Gambardella

Sullivan vola in Arabia Saudita, ma l'accordo con Israele resta difficile. Gli Emirati accusano Netanyahu per l'attacco al convoglio umanitario di Wck e trattano con Hezbollah

Prima la pace con i sauditi e poi quella con i palestinesi, ha sempre detto Benjamin Netanyahu. Prima la pace con i palestinesi e poi quella con gli israeliani, ha sempre risposto Mohammed bin Salman. Il dilemma della normalizzazione delle relazioni fra Gerusalemme e Riad è una questione di priorità che fino a oggi i facilitatori americani non sono riusciti a dirimere. La guerra a Gaza non vede ancora vie d’uscita, ma l’ostinazione di Joe Biden resta quella di mediare un’intesa prima del voto americano di novembre. “Guardate, sto lavorando con i sauditi. Sono pronti a riconoscere pienamente Israele”, aveva detto il presidente americano la settimana scorsa. Oggi, il consigliere per la sicurezza nazionale, Jake Sullivan, è atteso a Riad per incontrare l’erede al trono Bin Salman. Sul tavolo c’è il sostegno americano per lo sviluppo di un programma nucleare a scopi civili, condizione richiesta dai sauditi per   aderire agli accordo di Abramo. Curiosità: a mediare con MBS nella delegazione guidata da Sullivan c’è anche un ex militare israeliano, oggi fedelissimo di Biden. E’ Amos Hochstein, consigliere del dipartimento di stato per le questioni energetiche. Nato da genitori americani immigrati in Israele, dove ha pure prestato servizio nelle forze armate, Hochstein è un democratico con una lunga esperienza nel settore degli idrocarburi, un lobbista ai cui consigli Biden ha prestato sempre ascolto. Il presidente è pronto a sfidare il Senato – dove molti democratici sono poco inclini a scendere a patti con quello che tre anni fa Biden stesso definiva uno stato “canaglia” – ma sa che oltre al rischio di dotare MBS dell’atomica c’è l’urgenza di trovare una soluzione per Gaza. “Serve un piano post guerra, una soluzione a due stati. Non per forza oggi, ma deve esserci uno sviluppo. Credo possiamo farcela”, aveva aggiunto Biden. Basterebbe una road map, dicono alcuni analisti, un percorso diplomatico di qualche anno che conduca a un riassetto nella Striscia. Tanti sforzi che potrebbero non portare a nulla. Barak Ravid su Axios cita fonti della Casa Bianca che avrebbero definito l’accordo fra Israele e Arabia Saudita “un sogno impossibile”. 

 

 

Per una normalizzazione in fase di costruzione, ce n’è un’altra già conclusa , quella fra Israele ed Emirati Arabi Uniti, ma che mostra le prime crepe.   E’ la guerra a Gaza, anche qui, a dimostrare che il dilemma di partenza – vengono prima gli accordi di Abramo o la pace in medio oriente? – è lontano dall’essere risolto. “Anche gli accordi di pace più calorosi alla fine possono raffreddarsi”, aveva avvertito lo scorso gennaio un alto funzionario emiratino sentito dal Times of Israel. E così ieri Abu Dhabi ha speso parole dure contro Israele dopo l’uccisione dei sette operatori umanitari dell’ong World Central Kitchen che trasportavano aiuti a Gaza. L’organizzazione è finanziata in gran parte proprio dagli Emirati, che sono insorti annunciando il blocco del corridoio umanitario marittimo appena aperto fra Cipro e la Striscia. Il ministero degli Esteri del paese del Golfo ha diffuso un comunicato durissimo: “Riteniamo Israele pienamente responsabile di questo sviluppo pericoloso e chiediamo un’indagine urgente, indipendente e trasparente per punire coloro che hanno commesso questo crimine odioso in violazione del diritto umanitario internazionale”. L’accordo di Abramo non è certo in discussione, ma un conto è un’attiva cooperazione su svariati settori come è stato finora, un altro è un semplice riconoscimento formale, sulla scorta di quanto avviene con Egitto e Giordania.  

 

 

Normalizzare stanca, sembra dire Abu Dhabi, che così due settimane fa ha dato il benvenuto a Wafiq Safa, altro funzionario libanese di Hezbollah. Safa è un personaggio di grande rilievo nel Partito di Dio, un negoziatore  che nel 2008 ha siglato uno scambio di prigionieri con Israele e che ora media un accordo analogo con gli Emirati. Al centro delle trattative avviate nel Golfo ci sarebbe stato il rilascio di alcuni combattenti di Hezbollah catturati dagli emiratini in questi anni. Secondo alcuni giornali arabi, sarebbe stato addirittura il presidente siriano Bashar el Assad a mediare l’incontro, richiesto direttamente dagli Emirati. Il dialogo si sarebbe spinto oltre, fino a interessare la guerra a Gaza. Il quotidiano panarabo Asharq al Awsat ha scritto che gli Emirati hanno avviato una trattativa diretta con Hezbollah per convincere le milizie filoiraniane a interrompere i combattimenti al confine con Israele. Il gruppo armato si sarebbe detto disponibile a demilitarizzare la Blu Line che separa il Libano da Israele – un’ipotesi difficile da credere –  ma Gerusalemme si sarebbe opposta chiedendo molto di più: lo scioglimento di Hezbollah. Richiesta che i miliziani sciiti hanno deciso di declinare.

  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.