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Un anno di terrore. Una mappa racconta le condizioni globali dello Stato islamico

Enrico Cicchetti

Dal marzo 2023, il gruppo terrorista ha rivendicato 1.121 attacchi con 4.770 vittime. La nuova minaccia nella provincia afghana del Khorasan, il nodo chiave dei jihadisti tagiki e il preoccupante aumento del controllo territoriale, soprattutto in Africa, dopo anni di inattività

Il 21 marzo 2023, il Washington Institute – un think tank focalizzato sulla politica americana in medio oriente – lanciava una mappa globale delle attività dello Stato islamico, una sorta di database delle operazioni di propaganda del gruppo jihadista, delle sue rivendicazioni, delle sanzioni e degli arresti che lo hanno colpito. Una maniera per monitorarlo e comprenderne meglio le condizioni. Un anno dopo, i dati dipingono un quadro inquietante. Sebbene le “province” centrali dello Stato islamico in Iraq e Siria siano in declino, il gruppo è stato in grado di diversificarsi alla sua periferia. Oggi è soprattutto la fazione della provincia di Khorasan in Afghanistan (il sempre più noto Is-K) a guidare gli attentati all'estero, mentre mantiene un ampio controllo territoriale in Africa. I sostenitori dello Stato islamico continuano a pianificare anche grandi attacchi terroristici, soprattutto in Turchia, sebbene la maggior parte di questi siano stati sventati dalle forze dell’ordine (con notevoli eccezioni, tra cui gli attentati del gennaio 2024 a Kerman, in Iran, e quello di venerdì scorso a Mosca). 

 

Dal marzo 2023, lo Stato islamico ha rivendicato 1.121 attacchi che, secondo i dati diffusi dal gruppo, hanno ucciso o ferito circa 4.770 persone. 

 

   

La maggior parte di questi attentati ha avuto luogo in Africa occidentale (principalmente in Nigeria e nel sud-est del Niger), seguita da Siria, Iraq, Africa centrale (in Repubblica Democratica del Congo) e Mozambico. Nel Khorasan ci sono stati gli attacchi più dannosi, con una media di circa 14 vittime per attacco. Gli attrentati organizzati dall'Is-K dovrebbero essere considerati la più grande minaccia globale dell'organizzazione, scrive il think tank. Nell’ultimo anno, l’affiliata afghana ha pianificato ventuno complotti o attacchi in nove paesi, rispetto agli otto dell’anno precedente e ai tre organizzati tra il 2018 e il marzo 2022.

    

    

Il numero di attacchi rivendicati in ciascuna "provincia" dello Stato islamico è rimasto sostanzialmente invariato rispetto all’anno precedente, con la notevole eccezione del Khorasan, dove sono stati rivendicati meno attacchi rispetto ai due anni precedenti. È probabile che questa tendenza, dice il Washington Institute, derivi dall’escalation delle misure militari dei talebani, che hanno portato a un calo degli attacchi all’interno dell’Afghanistan, senza tuttavia fare nulla per arginare l’aumento dei complotti terroristici dell’Isis all’estero. I dati raccolti sconfessano infatti le ripetute rassicurazioni dei talebani secondo cui il loro intervento preverrebbe le minacce terroristiche transnazionali provenienti dal suo territorio – un impegno assunto per la prima volta nell’Accordo del 2020 per portare la pace in Afghanistan, mediato da Qatar e Stati Uniti. Inoltre, come dimostra anche la strage di Mosca, i jihadisti provenienti dal Tagikistan sono diventati nodi chiave nelle operazioni terroristiche dell'Is-K. Solo lo scorso anno sono stati coinvolti in sei dei ventuno attacchi (riusciti o sventati) rivendicati dall'organizzazione. 

      

     

Un’altra tendenza preoccupante, scrive l'istituto, è l’aumento del controllo territoriale dello Stato islamico dopo anni di inattività. Questi progressi si sono verificati in alcune parti dell’Africa dove oggi l’organizzazione appare più forte sul campo, in particolare in Mali, Mozambico e Somalia. Detenere il territorio consentirà loro di estrarre più risorse e servirà anche a stimolare nuove mobilitazioni di combattenti stranieri. Se questi centri di pianificazione proliferassero, potrebbero aiutare lo Stato islamico a diversificare il modo in cui conduce le sue attività terroristiche all’estero invece di centralizzare tale funzione come ha fatto a lungo (in Iraq e Siria durante gli anni del “califfato” oppure oggi in Afghanistan).

 

  • Enrico Cicchetti
  • Nato nelle terre di Virgilio in un afoso settembre del 1987, cerca refrigerio in quelle di Enea. Al Foglio dal 2016. Su Twitter è @e_cicchetti