Il documentario

Le voci e i silenzi di Taiwan in “Island in Between” vanno all'Oscar

Priscilla Ruggiero

Il regista S. Leo Chiang  porta a Los Angeles l'isola di Kinmen e le tensioni sull'isola de facto indipendente rivendicata da Pechino. Un quadro vivido e fedele delle opinioni dei taiwanesi nominato per la categoria miglior cortometraggio documentario

Roma. Mentre Taiwan esorta la Repubblica popolare cinese a non modificare lo “status quo” delle acque intorno alle isole taiwanesi più vicine a Pechino – a sole due miglia dalla Cina – le Kinmen,  il regista   S. Leo Chiang  porta la storia dell’avamposto sulla “prima linea del fronte” alla notte degli Oscar che si svolgerà domenica. “Island in Between”, l’isola di mezzo, è stato nominato agli Oscar per la categoria Miglior cortometraggio documentario: è la seconda volta che un film prodotto a Taiwan partecipa agli Oscar dopo “La tigre e il dragone” di Ang Lee (2000), ma il fatto che a Los Angeles  venga presentato un cortometraggio sulle tensioni nell’isola di Taiwan, che Pechino rivendica come proprio territorio, è   del tutto inedito.

 

 

S. Leo Chiang è un taiwanese-americano, nato a  Kaohsiung, si è trasferito negli Stati Uniti, recentemente è tornato a Taipei.  E’ anche per questo che conosce bene la percezione dei “taiwanesi” in America: quando sono arrivato eravamo tutti considerati “cinesi”, ha detto, solo negli ultimi anni si è iniziato a familiarizzare con la cosiddetta “identità taiwanese”.  “Abbraccio ancora il mio legame culturale, storico ed etnico con la Cina, ma in termini di identità nazionale sono molto esplicito riguardo al fatto di essere taiwanese”, ha affermato il regista. Un’identità molto sfumata però nelle Kinmen che,  assieme alle isole Matsu, sono più vicine alla Cina rispetto all’isola principale di Taiwan. La sponda cinese nitida al di là della costa, gli slogan anticomunisti sui muri, i cannoni e i bunker costruiti nel 1944 per combattere il Partito comunista cinese durante la Prima Crisi dello stretto,  un carro armato spiaggiato all’ora del tramonto sotto l’occhio curioso dei turisti che scattano selfie e visitano luoghi storici trasformati in siti turistici: tutto questo è presente ancora oggi a Kinmen, e viene mostrato in “Island in Between”, tra immagini d’archivio che ricostruiscono la vita quotidiana e le complicate relazioni tra Pechino e Taipei.

 

L’avamposto rappresenta il punto più vicino delle tensioni con la Repubblica popolare cinese, ma è anche il pretesto per raccontare visivamente la storia di un paese de facto indipendente: “Spero che il mio film possa svolgere un piccolo ruolo nel sostenere la pace”, ha detto Chiang al New York Times – il cortometraggio di 19 minuti è disponibile sul sito del quotidiano nella categoria “Op-Docs”. Alle immagini di Kinmen fa da sfondo la voce e la musica di Teresa Teng, la cantante taiwanese famosissima anche in  Cina continentale: non è una scelta del regista, ma delle stesse Kinmen: in una base militare dell’isola è   installata una stazione radio  che diffonde ad alto volume le parole della cantante:   “Sono così felice di essere qui, sulla linea del fronte della Cina libera, a Kinmen. Spero soltanto che tutti voi della terraferma un giorno potrete godere della stessa libertà e democrazia che abbiamo qui”, diceva Teng negli anni Novanta e la sua voce risuona ancora al di là dello  Stretto, come strategia della “guerra cognitiva” tra Pechino e Taipei. Sull’altra sponda, a Xiamen, da parte cinese, sono visibili enormi caratteri in rosso della propaganda cinese: “Un paese, due sistemi per unificare la Cina”.

 

Le voci nel documentario sono tutte diverse  e restituiscono un quadro vivido e fedele delle opinioni dei taiwanesi nei confronti della Cina  e del futuro di Taipei: “La guerra è impossibile”; “Molti a Kinmen pensano che la Cina non attaccherà mai Taiwan e gli Stati Uniti dovrebbero smetterla di interferire”; “Ci serve un piano”,  ma se la Cina invadesse “rimarremmo a Taiwan, siamo troppo vecchi per andarcene”; “Nessuno può costringerci a fare ciò che la Cina vuole”. Chiang conclude il documentario raccontando l’estensione di un anno della leva militare per i taiwanesi: “Quando questi giovani uomini arriveranno a Kinmen, rimarranno sorpresi, così come lo sono io, dai tramonti sereni, gli stessi che mio padre deve aver visto quando ha  servito qui tanti anni fa, e dalla gentilezza delle persone, che si trovano perennemente nel mezzo”. 
 

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