In Europa
La riconferma di von der Leyen non è più così sicura
I liberali e Macron si sono arrabbiati e lo dimostra il post assassino di Thierry Breton: ancora il Ppe alla guida dell’Europa, dopo 25 anni di fila?
Bruxelles. Nell’arco di poche ore la riconferma di Ursula von der Leyen come presidente della Commissione europea è diventata molto più incerta. Giovedì i franchi tiratori al Congresso di Bucarest del Partito popolare europeo hanno impedito a von der Leyen di ottenere un’investitura convincente come Spitzenkandidat, il candidato di punta per la presidenza della Commissione. Le defezioni e la mancanza di entusiasmo nel Ppe rendono più fragile la sua posizione il giorno in cui il Parlamento europeo dovrà confermare l’eventuale nomina per un secondo mandato da parte dei capi di stato e di governo. Ma nemmeno la nomina del Consiglio europeo è più garantita. Il commissario francese, Thierry Breton, giovedì notte ha pubblicato un post assassino su X (ex Twitter) lanciando una sfida a von der Leyen. Chi dice Breton dice Emmanuel Macron. Il presidente francese aveva concluso un patto con von der Leyen a metà febbraio: sostegno alla riconferma in cambio dell’impegno di fare dell’industria della difesa europea la priorità del secondo mandato (con un ruolo centrale per Breton). Von der Leyen ha accettato, ma ha subito tradito per compiacere altri leader. Nel frattempo altri premier che avevano promesso di sostenerla, come il socialista spagnolo Pedro Sánchez e il popolare irlandese Leo Varadkar, si sono irritati per le sue posizioni di sostegno senza condizioni a Israele a Gaza. “Il Ppe non sembra credere nella sua candidata”, ha scritto Breton su X.
Su 499 delegati che hanno votato al Congresso, solo 400 hanno messo la croce sul “sì” a von der Leyen. Guardando al Parlamento europeo, un quinto di franchi tiratori del Ppe appare come una condanna per una presidente della Commissione che nel 2019 era stata confermata per appena nove voti grazie ai deputati del M5s. In realtà, il plebiscito di Bucarest è andato ancora peggio. I delegati che avevano diritto di voto erano 737: il 46 per cento del Ppe non ha votato per von der Leyen. Per Breton “la vera questione” è un’altra. “È possibile (ri)affidare la gestione dell’Europa al Ppe per altri 5 anni, cioè 25 anni di fila?”. Il Ppe si presenta come partito di opposizione su temi come il Green deal e l’agricoltura. Sui richiedenti asilo propone il “modello Ruanda” del Regno Unito. Von der Leyen ha accettato un programma spostato molto a destra per recuperare la base dentro il Ppe e ottenere il sostegno dei sovranisti “pragmatici” come Giorgia Meloni. Ma così allontana le altri basi della “maggioranza Ursula”: socialisti e liberali.
Prima del Parlamento europeo c’è il Consiglio europeo. Anche lì la situazione è meno rosea per von der Leyen rispetto a un paio di settimane fa. Macron è decisivo per la riconferma. Ma, contravvenendo al patto dell’Eliseo, von der Leyen ha offerto il commissario alla Difesa ai paesi dell’est, ha svuotato la strategia per l’industria della difesa perché non piace alla Germania e si è espressa contro il debito comune per un fondo da 100 miliardi. Macron è “furioso”, dice una fonte. E furioso è Breton che vede von der Leyen appropriarsi dei suoi successi senza mai citarlo. Il suo post rivela i profondi dissidi interni alla Commissione sulla leadership centralizzata e opportunista di von der Leyen. Anche lo spagnolo Josep Borrell ha contestato apertamente la presidente. Una campagna elettorale che si annunciava scontata all’improvviso appare più interessante.
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