Troppi pochi missili

Contro Putin, i paesi europei della Nato devono accelerare sull'economia bellica

Oscar Giannino

Dopo 25 mesi di stragi perpetrate dall’invasore russo in Ucraina, l’Europa stenta ancora a capire la dimensione e i tempi stretti dello sforzo di sostegno militare necessario a Kyiv

Dal quinto secolo avanti Cristo, l’Occidente aurorale cioè l’antica Grecia cominciò a capire che le guerre contro imperi avversari imponevano grandi alleanze e centralizzazione delle risorse per la spesa militare. Sconfitti i persiani, Atene fece nascere la Lega delio-attica e Pericle ne accentrò ad Atene il tesoro, frutto dei tributi annuali degli alleati per sostenere spese della difesa comune. Con il primo conflitto mondiale i conflitti  contro Imperi divennero Materialschlacht, guerre attrito in cui non contava più solo il numero di combattenti ma soprattutto la capacità di schierare rapidamente enormi quantità di armi moderne, artiglieria, munizioni e aerei. Nel primo e nel secondo conflitto mondiale, le sorti si ribaltarono a favore dell’occidente liberale quando infatti intervenne la grande potenza industriale americana.
 

L’Unione europea sembra aver dimenticato tutto. I governi di Germania e Francia coltivano l’oblio. Soprattutto il primo, visto che Macron sta cambiando finalmente posizione. Dopo 25 mesi di stragi in Ucraina perpetrate dall’invasore Putin, l’Europa stenta ancora a capire la dimensione e i tempi stretti dello sforzo di sostegno militare necessario all’Ucraina. Il tempo aiuta Putin, perché la resistenza  dell’Ucraina continua a mietere successi nel Mar Nero, ma sul terreno e nella difesa aerea è ai limiti. Ecco perché la presentazione a Bruxelles ieri da parte di Ursula von der Leyen della strategia europea per l’industria della difesa è, ancora una volta, una goccia rispetto a quanto servirebbe. In tutto, acquisti congiunti di armi e un piano di investimenti da 1,5 miliardi per accelerare le produzioni militari, ma diluito fino al 2027. “Questo ci porterà in condizioni di poter reagire a ogni futura evenienza”, è stato detto. Non è vero. La guerra ai nostri confini non è un’evenienza futura, dura da due anni. E ha bisogno di tutt’altre risorse. Intendiamoci: c’è chi ha le idee chiare, su che cosa serva davvero.
 

La premier estone Kaja Kallas a dicembre fu la prima a parlare della necessità di un bond europeo per la difesa per almeno 100 miliardi di euro, tesi abbracciata con convinzione anche dal commissario europeo all’Industria Thierry Breton, dal premier belga ora  presidente di turno Ue De Croo, e ultimamente anche da Macron. Ma il governo tedesco dice no, non solo per l’opposizione a nuovo debito comune europeo dopo il Next Generation Ue, ma perché Scholz e i socialdemocratici continuano a ripetere che l’Ucraina va sostenuta sì, ma evitando di darle i mezzi per colpire anche basi, aeroporti e infrastrutture putiniane in Russia. La sostanza è che si rinvia tutto di alti sei mesi, per capire dopo le elezioni europee, e formata la nuova Commissione Ue, come intendano davvero muoversi i governi. Un errore capitale che rende felice Putin, e gli fa aspettare con ancor più speranza la vittoria di Trump a novembre prossimo.
 

Nel frattempo, la Russia sta rimpinguando sempre più i suoi arsenali. Non solo ha volto la sua intera economia al settore bellico, innalzando enormemente la sua capacità produttiva (ad esempio i missili Iskander sono passati dalla produzione di 5 esemplari al mese a 30 nel 2023), ma continua a sottoscrivere accordi con Corea del nord e Iran per munizioni e missili (è fresca la notizia di un’intesa con Teheran per aggiungere a centinaia di droni anche missili balistici come i Fateh-100 con gittata fino a 300 chilometri, e i Zolfaghar fino a 700 chilometri).
 

L’Ucraina non può aspettare i tempi lunghissimi di un’Europa che continua a dichiarare pieno sostegno a Kiev, ma non pone in essere misure di sostegno sempre più tempestive. Certo, la produzione industriale bellica europea, senza misure radicali scelte dai governi  non è in grado di rapide accelerazioni. McKinsey ha calcolato che i paesi Nato europei in trent’anni abbiano risparmiato 1.600 miliardi di euro in minori quantitativi di armamenti a tecnologia avanzata. Oggi per avere nuovi carri Leopard aggiornati servono tre anni, dall’ordine alla consegna. E ancor più ciò vale per missili da difesa aerea e cruise. Sono i governi dei maggiori paesi Nato europei a dover decidere misure comuni per un’accelerazione dell’economia bellica, agendo di concerto sulle proprie industrie nazionali.  Altrimenti significa solo che vogliono Putin resti con zampe e artigli in Ucraina. Esponendoci ancor più all’enorme rischio di un Trump che ci dica “cavatevela da soli”.      

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