Una statua della principessa Olga, Kyiv (foto Ansa)

Piccola posta

Derussificazione: la conseguenze della guerra sulla cultura in Ucraina

Adriano Sofri

Gli ucraini cancellano i grandi russi. Come dirgli prendetevela con Putin, non con Pushkin?

Sul Monde di domenica Florence Aubenas ha pubblicato un ampio reportage sull’annosa questione della letteratura russa in Ucraina. Il titolo: “Fuori Pushkin, Dostoevskij, Tolstoj… In Ucraina, la gran pulizia nelle biblioteche”. Dal 24 febbraio 2022, dice Aubenas, non si tratta più di “ucrainizzare” le biblioteche e la cultura letteraria, ma di “derussificarla”. Ne ho scritto tante volte, non mi ripeterò. Se non per osservare che imperialismo e colonialismo granderusso, e monumenti demoliti o deportati, sembrano imparentare la reazione ucraina alla cosiddetta cultura woke. Una differenza, enorme, sta naturalmente nella guerra brutale scatenata dalla Russia di Putin e dalle incarnazioni precedenti da lui invocate, l’Urss, Pietro il Grande… E dalla sua annessione totalitaria di Pushkin (qualcuno ne sta metodicamente trafugando le edizioni prime e di pregio dalle biblioteche europee).

C’erano 594 strade intitolate a Pushkin in Ucraina. Aubenas ricorda che nel 2019, a ridosso dell’intervento russo in Siria a sostegno di Bachar al-Assad boia del suo popolo, fu eretto anche a Damasco un monumento a Pushkin. Quasi due anni fa, nel primo pronunciamento per una rimozione dei libri che avevano fatto da battistrada e da compagni di invasione all’aggressione russa, la direttrice ucraina dell’Istituto del libro, Oleksandra Koval, aveva soprattutto additato la coppia Pushkin-Dostoevskij come più esemplarmente responsabile del messianismo russo e della missione di “salvare gli altri popoli, anche contro la loro volontà”.
Il discorso che Dostoevskij tenne a Mosca per l’inaugurazione del monumento a Pushkin, l’8 giugno del 1880  – stava finendo di scrivere i Karamazov, morì nemmeno un anno dopo – segnò la consacrazione entusiasta di Pushkin come l’autentico interprete dell’anima russa, e la consacrazione, tutt’altro che scontata, dello stesso Dostoevskij. Quell’abbinamento li ha comprensibilmente messi in cima alla diffidenza o all’aperta avversione dei difensori ucraini. Mi ha colpito, del reportage di Aubenas, un dettaglio che avevo avuto modo di notare nell’Ucraina che ho conosciuto, cioè la prevalenza soverchiante di donne responsabili e custodi delle biblioteche e dei musei letterari, che non si spiega certo con il richiamo degli uomini alla guerra. “Ma i classici restano un valore – dice a Aubenas la bibliotecaria di una cittadina del sud-est – Quando li si rimuove, si ha l’impressione che una parte della nostra vita se ne vada”.

Ieri, quando leggevo l’articolo, arrivavano le ultime notizie dalla Russia. Medvedev – il pagliaccio che ancora passa per il numero due del regime, e che fu già il formale numero uno, e l’amico più sfegatato dell’occidente, quello cui poi è stato delegato di annunciare bombe nucleari come noccioline su Parigi e Londra e Berlino (ora Putin se ne occupa in proprio) – ha ripetuto: “L’Ucraina è russa”. Guerra asimmetrica, dall’altra parte non hanno neanche un pagliaccio che dica: “La Russia è ucraina” – non devono averci ancora pensato. Immaginate una Russia coperta di statue a Taras Schevchenko. Eppure, all’indomani dell’invasione, un giovane russo che aveva messo in pubblico una citazione di Schevchenko finì in galera… Sempre ieri, la Russia ha infierito sulla Germania e sul suo ambasciatore dopo aver intercettato l’intenzione di militari tedeschi, avversata da Scholz, di fornire all’Ucraina i famosi missili Taurus, che coi loro 500 km di gittata avrebbero permesso di colpire il territorio russo, compreso il ponte di Crimea. Presi con le mani nel sacco, tedeschi e alleati. Tutti i proiettili russi, missili, razzi, droni, bombe aeree e navali e sottomarine e obici di artiglieria, decine di migliaia ogni giorno, mirano e cadono senza eccezioni in territorio ucraino, con una preferenza per condomini civili, mercati, biblioteche e centrali elettriche.

Non è difficile capire come mai una raccomandazione accorata come “Prendetevela con Putin, non con Pushkin”, suoni così stridula ad alcune orecchie ucraine.

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