Adam Schiff, Katie Porter e Barbara Lee - foto via Getty Images

Negli Stati Uniti

Il blu della California, l'isola felice del progressismo

Giulio Silvano

Oggi è il Super Tuesday, ma nel Golden State la competizione è tutta incentrata sul Senato: oggi si corre anche per il seggio di Dianne Feinstein, deceduta l'anno scorso. E i tre candidati democratici, tra i quali spicca Adam Schiff, rappresentano le tre anime del partito

Los Angeles. Nonostante gli scettici, nonostante l’allarme clochard – siete mai stati a Philadelphia? – il modello California è forte. Anche il tanto discusso “esodo” californiano si è rivelato un mito, anche quest’anno decine di migliaia di persone dal New Jersey e dal Nevada sono arrivate nel Golden State. La culla del capitalismo contemporaneo, del tech, dei social e dell’AI – di tutto ciò che sta cambiando le industrie e la comunicazione – è in gran salute. La fuga texana di Elon Musk è solo fumo negli occhi. Altro mito è quello dei licenziamenti, semplicemente il risultato di troppe assunzioni negli ultimi anni. Se guardiamo Uber, Google, Lyft, Amazon, Nvidia e altre big, i dipendenti sono comunque aumentati rispetto ai numeri pre pandemici. La controparte del modello California, quello della Florida di Ron DeSantis, fallimentare ex candidato anti woke dei repubblicani, è invece già parte di un esperimento passato. È più facile vincere alla lotteria che trovare un cappellino Maga (Make America Great Again) nelle cittadine sudcaliforniane di Culver City o Santa Monica o Montecito. Resistono giusto alcune piccole aree repubblicane, come Huntington beach, e il banchetto davanti alla stella di Hollywood dedicata a Donald J Trump. Stella che ogni tanto qualcuno ha preso a picconate e che la polizia ha dovuto circondare con del nastro giallo.
 

L’unica cosa che spaventa la storica roccaforte democratica è l’influenza sull’economia nazionale, oltre a qualche posizionamento più radicale rispetto ai temi geopolitici – ma si sa che la geopolitica non cambia mai i risultati elettorali. Come dice al Foglio il reporter del Los Angeles Times Tyrone Beason: “Gli elettori in California sono un po’ inaciditi perché molti non vedono prove della ripresa economica post Covid alla fine del mese”. E cita l’inflazione, il costo già alto della vita e delle case, ma anche le minacce del cambiamento climatico, che tra i progressisti è un tema rilevante. “La gente ha molto di cui preoccuparsi, e molti pensano di non essere ascoltati dai politici. Questo per i democratici significa che anche in uno stato solitamente blu come la California, il partito quest’anno non può dare il voto per scontato”. Da una parte è la solita storia – It’s the economy, stupid – dall’altra l’ondata populista dei trumpiani che cercano di dipingere il partito di Joe Biden come una cricca di corrotti.
 

Oggi è il Super Tuesday, il giorno in cui si votano le primarie in sedici stati, anche in stati grossi come il Texas e la California. Le primarie presidenziali democratiche nella più grande economia del paese non sono un problema, Biden non ha veri sfidanti. Quelle repubblicane potrebbero invece definire il candidato che si scontrerà con il presidente in carica a novembre. La sfida Trump vs Nikki Haley in California però non è molto vissuta. Qui, nel Golden State, il focus è su elezioni più locali, come quella per il Senato. Scelte locali ma fondamentali anche per la politica nazionale. A settembre la morte della senatrice democratica Dianne Feinstein, che era lì dal 1992, ha liberato uno dei posti più ambiti di Washington, il seggio senatoriale della California. Oggi si dovranno scegliere i due contendenti che si scontreranno a novembre per occuparlo. E per come è fatto il regolamento, essendo una primaria aperta, i due potrebbero essere entrambi democratici. Il Wall Street Journal l’ha chiamata “la giungla delle primarie californiane”. In corsa ci sono molte persone. Quelli che hanno una chance di arrivare sul podio sono i tre deputati democratici – Adam Schiff, Katie Porter e Barbara Lee – e un repubblicano ex star del baseball, Steve Garvey.

 

 

Il deputato Schiff viene dato in vantaggio. Schiff, ebreo, è stato in prima linea alla Camera negli impeachment contro Trump, e uno dei più forti critici di Hamas e dell’antisemitismo che si è visto recentemente in America. 63 anni, rappresenta il distretto degli studios hollywoodiani e degli hipster di Echo park. Katie Porter, madre divorziata cinquantenne, pupilla della politica di sinistra Elizabeth Warren, passa il tempo a Washington a sfidare le grandi aziende e i miliardari monopolistici. Barbara Lee, 77 anni, afroamericana, rappresenta invece il distretto di Oakland, e, come chi abita qui, è stata fin da subito molto critica verso le azioni del governo israeliano di Benjamin Netanyahu. Se la sinistra di Porter è più quella legalista di Zuccotti Park, quella di Lee è più vicina ai diritti civili di Martin Luther King, e da tempo chiede un immediato cessate il fuoco a Gaza. Ad appoggiarla ci sono anche gruppi come il California Working Families Party.

 

   Katie Porter - foto via Getty Images

 

I tre candidati rappresentano tre anime del partito, i moderati bideniani (votati dalla classe media e dall’élite urbana), i critici dell’ipercapitalismo contemporaneo “we are the 99” (votati soprattutto dai giovani), e i pacifisti (votati dalle minoranze, in particolare quella afroamericana). Lee si presenta ad alcuni eventi con una t-shirt che dice: “Fai eleggere donne nere”. Il posto senatoriale vacante, dopo la morte di Feinstein, è stato riempito temporaneamente dal governatore Gavin Newsom con “una donna nera”, come aveva promesso: Laphonza Butler. Ma lei ha già detto che non intende ricandidarsi per quel seggio (e appoggia Lee). Oltre alle primarie per novembre, si vota quindi anche per terminare l’incarico di Butler – cioè da qui a gennaio.

 

  Adam Schiff - foto via Getty Images

 

Newsom aveva già dovuto riempire un altro vuoto senatoriale creatosi quando Kamala Harris era stata scelta come vicepresidente, sostituita dal governatore con Alex Padilla – “un ispanico”, il primo, come aveva promesso – riconfermato poi nel 2022. La scelta dei senatori, pochi e potenti, due per ogni stato, si sa che va ben oltre la questione della politica locale. Da una parte mostra come funzionano gli equilibri dentro un partito che deve affrontare l’antipolitica imperante spinta dal trumpismo, dall’altra ha un impatto notevole sulle politiche nazionali. Il Senato approva le nomine del presidente, vota per il budget federale e per le leggi. E infatti alcuni si chiedono: Barbara Lee voterebbe per inviare aiuti a Israele? Katie Porter farebbe scappare le mega aziende dalla Silicon Valley? Ma allo stesso tempo se si va a vedere come i tre hanno votato negli ultimi anni al Congresso, le loro policy di politica interna non sono per nulla diverse. E tutti e tre son favorevoli a inviare aiuti all’Ucraina. Il conflitto israelo-palestinese è l’unico tema su cui ci sono divergenze.

 

  Barbara Lee - foto via Getty Images

 

Schiff viene dato per vincitore. Se si parla con giornalisti e politologi californiani la sua vittoria è assicurata. E dicono che lui spera di trovarsi come sfidante il repubblicano ex giocatore di baseball, perché sarebbe una campagna più semplice rispetto a quella contro un altro democratico, dove bisogna tirare fuori questioni identitarie più complesse e non un semplice democratici vs antidemocratici. Nei possibili tête-à-tête i numeri lo danno di molto sopra a Garvey, mentre contro Porter potrebbe far fatica a vincere. E quindi Schiff ha investito su spot elettorali che dessero visibilità al candidato del Partito repubblicano, che lui definisce “troppo conservatore per la California”. La radicalità che si porta addosso il Gop trumpiano, su aborto, diritti civili e antidemocrazia, è facile da sconfiggere in uno stato blu come questo. La gente della California centrale però arriccia un po’ il naso, perché da sempre la classe politica è stata rappresentata da figure della Bay Area, e invece con il duo Schiff-Padilla lo stato sarebbe rappresentato in senato da due personaggi legati al sud, a Los Angeles, ma sono piccolezze campaniliste. Nancy Pelosi, esempio dell’aristocrazia politica californiana, donna vista come esempio del modo in cui si mantiene il potere a Washington, rappresentava un distretto di San Francisco. La vicepresidente Harris invece era una nativa di Oakland, dall’altra parte della baia.
 

Una vittoria di Schiff, però, dimostrerebbe non solo che Biden è forte, ma che quell’anima del partito che guarda anche al centro è quella vincente, anche in uno stato progressista come questo, dove ci sono più bagni gender-neutral che negozi di armi.
 

Anche lo scrittore T. C. Boyle, che dice di aspettare di morire per vedere Trump in carcere, racconta al Foglio che non è mai stato attratto dall’anima sinistra dei Sanders e delle Ocasio-Cortez, perché non è realistica. “Bisogna vincere, e poi Biden ha fatto passare un piano per la ripresa delle infrastrutture di miliardi di dollari e un piano green che nessuno pensava riuscisse a realizzare”, dice l’autore. Secondo i sondaggi nazionali in California Biden prenderebbe il 57 per cento contro un 35 per cento di Trump. Ancora una volta il Golden State si dimostra un’isola felice del progressismo, e i piccoli terremoti tengono sveglio l’establishment democratico, in modo che non dia per scontato il suo potere.

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