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1933-2023

Dianne Feinstein era l'incarnazione della politica “alla californiana”

Marco Bardazzi

La senatrice dem è morta oggi a 90 anni, esce di scena il membro più anziano del Senato degli Stati Uniti e una delle ultime esponenti di una generazione di politici che fatica a trovare successori 

Era uno di quei volti politici americani che commuovono i media liberal e fanno vincere le elezioni a Donald Trump. Era l’incarnazione di quel modo di far politica “alla californiana” che spinge per imporre al paese un mix variopinto di diritti civili, senza mai appoggiarsi su un’idea forte o un ideale coerente. Ma era anche un’apripista, una pioniera per la presenza delle donne nei posti di potere a Washington e un mastino in Senato capace di tener testa alla Casa Bianca o alla Cia. Con Dianne Feinstein, scomparsa oggi a 90 anni, esce di scena il membro più anziano del Senato degli Stati Uniti e una delle ultime esponenti di una generazione di senatori che fatica a trovare successori. E’ la classe a cui appartenevano gente come John McCain e Ted Kennedy e di cui resta ora un erede che ha traslocato da anni alla Casa Bianca: Joe Biden. 

Negli ultimi anni per il grande pubblico il volto di Dianne Feinstein, con il suo look che ricordava la regina Elisabetta, era diventato quello di Annette Bening. L’attrice che l’ha interpretata al fianco di Adam Driver in “The Report”, il film del 2019 che racconta la sua battaglia contro l’amministrazione Bush e l’apparato d’intelligence per far luce sugli abusi e le torture compiuti nella guerra al terrorismo dopo l’11 settembre. Le 6.700 pagine del “torture report” firmato dalla senatrice della California sono ancora secretate, ma le 500 pagine di sommario che sono state rese pubbliche bastano a farne probabilmente l’eredità politica più importante che lascerà la Feinstein. Resistendo a pressioni e attacchi di ogni genere, la senatrice alla guida della commissione Intelligence riuscì tra il 2009 e il 2014 a portare alla luce tutto ciò che non andava nell’apparato di prigioni segrete, ordini presidenziali e detenzioni a Guantánamo in cui era degenerata la lotta al terrorismo negli anni delle guerre in Afghanistan e Iraq.  

L’indagine sulla Cia ne consacrò il ruolo di voce autorevole e saggia del Senato, al culmine di una carriera politica cominciata come giovane sindaco di San Francisco e poi sfociata in tre decenni trascorsi a Capitol Hill. Fanno parte del suo lascito politico le battaglie per limitare la vendita delle armi, le “prime volte” che come donna ha segnato traguardi a Washington e i durissimi scontri con l’amministrazione Trump per cercare di bloccare (senza riuscirci) la nomina alla Corte Suprema del giudice conservatore Brett Kavanaugh, accusato da alcune donne di molestie sessuali. Ma quel che soprattutto lascia dietro di sé la Feinstein è l’approccio “californiano” sui diritti civili, che l’ha fatta appoggiare (talvolta in modo ondivago) scelte su temi come le unioni tra omosessuali, l’aborto o i diritti lgbtq, senza mai radicarle su una solida base ideale che spiegasse che idea di persona o di comunità le tenesse insieme. In questo è sempre stata in buona compagnia dell’altra leader politica della California, Nancy Pelosi, che aveva alla Camera un peso analogo a quello della Feinstein in Senato. E anche di alcuni repubblicani dalla forte impronta bipartisan, come l’ex governatore della California Arnold Schwarzenegger. 

Ciò che forse meglio definisce Dianne Feinstein, in definitiva, era quello che “non” era: era l’esatto opposto di un’altra figura storica della politica californiana, Ronald Reagan. Era proprio per questo che Walter Mondale, sfidante di Reagan nelle elezioni del 1984, aveva in un primo momento pensato a lei come vice, preferendole però alla fine Geraldine Ferraro, che divenne la prima donna in un ticket presidenziale nella storia americana. Una delle poche “prime volte” che la Feinstein non era riuscita a scrivere nel curriculum.

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