Il mondo di ieri

L'elezione più passatista della storia americana è un'ipoteca sul futuro di Kyiv. Metodi trumpiani

Paola Peduzzi

Per svilire il presidente Joe Biden i repubblicani sviliscono anche il sostegno all'Ucraina. Le indagini del passato

Petro Poroshenko, ex presidente ucraino, ha detto a Fox News che Viktor Shokin è “una persona del tutto folle” e che “c’è qualcosa che non va” in lui. Se questi nomi vi dicono poco o niente è perché fanno parte del mondo di ieri, che nella campagna elettorale americana – decisiva per il futuro del sostegno all’Ucraina e quindi dell’assetto globale – riemerge ossessivamente. Ha un che di inquietante che l’America sempre sfacciatamente orientata verso il domani stia organizzando una riedizione incattivita delle elezioni del 2016 e del 2020, ma tant’è. E l’Ucraina ha un ruolo importante, pure se per le ragioni sbagliate: bisognerebbe celebrare un paese, questo sì, che guarda ostinato al domani, che si sta trasformando in un modo inimmaginabile persino per le democrazie mature come le nostre, che rovescia gli occhi quando sente parlare di oligarchi (anche quelli che sostengono la causa ucraina), che sta creando una classe dirigente nuova, innovatrice e determinata. E invece l’America si divide sull’Ucraina di ieri, quella già aggredita dai russi ma ben poco compresa in occidente, compromettendo così l’idea del proprio ruolo nel mondo. Il problema è l’impeachment che i repubblicani vogliono intentare contro Joe Biden attraverso suo figlio Hunter. 

 

I media conservatori, e in particolare Fox News (che citiamo sempre solo perché non ascoltiamo la radio), si occupano costantemente dell’Ucraina perché è lì che secondo loro si è consumato il reato che può mettere in stato d’accusa il presidente americano. C’è ovviamente un senso di rivincita: Donald Trump, nel 2020, è stato assolto dal Congresso – non è stato difficile: i repubblicani avevano la maggioranza – dall’accusa (da impeachment) di aver abusato del suo potere sospendendo milioni di dollari in aiuti alla sicurezza per fare pressione su Kyiv e sul presidente Volodymyr Zelensky affinché aprisse un’indagine sui Biden (oggi l’insistenza disperata con cui Zelensky chiedeva a Washington di non levare gli aiuti necessari a respingere l’aggressione russa, e il suo essere disposto a tutto, rende molto meglio l’idea del ricatto trumpiano). E poi c’è la storia di oggi (si fa per dire: i fatti risalgono al 2016): costringere Biden all’impeachment sostenendo contemporaneamente che la Casa Bianca è tanto dedicata alla salvezza dell’Ucraina perché deve restituirle il favore di aver salvato il figlio Hunter. Un risultato doppio insomma, svilire Biden e svilire la difesa di Kyiv dall’aggressione di Vladimir Putin. Su Fox News, qualche settimana fa, uno degli anchorman più spericolati sulla questione dell’impeachment, Brian Kilmeade, ha intervistato Viktor Shokin, ex procuratore generale ucraino che sostiene di essere stato rimosso dal suo incarico, nel 2016, perché stava indagando su Burisma, la società energetica che aveva nel suo board Hunter Biden. L’allora presidente “Poroshenko mi ha licenziato su insistenza dell’allora vicepresidente Biden perché stavo indagando su Burisma –  ha detto Shokin – Non c’erano lamentele di nessun tipo, non c’erano problemi su come stavo facendo il mio lavoro. Ma poiché ci sono state pressioni ripetute, Poroshenko ha finito per licenziarmi”.

 

Le pressioni ci sono state perché l’Amministrazione Obama era convinta che Shokin non stesse facendo la lotta alla corruzione che Kyiv aveva promesso di avviare e che questo fosse un problema per gli aiuti americani e la loro destinazione – allora si parlava di un miliardo di dollari. In tv, Shokin ha detto: “Il fatto che Joe Biden abbia messo sul piatto un miliardo di dollari in cambio del mio licenziamento, non è di per sé un caso di corruzione?” e questo è diventato il nuovo slogan di chi vuole portare Biden all’impeachment. Finora nove mesi di indagine sulla presunta corruzione del presidente non hanno portato a nessuna prova e nel 2020, quando Hunter Biden era già l’obiettivo principale di chi voleva colpire suo padre candidato, non erano emerse prove di tale corruzione. Ma chi ha bisogno di prove? Forse soltanto il Congresso, non certo il mondo trumpiano che infatti, di fronte a una smentita diretta, diventa frettoloso e toglie il microfono. Su Fox News infatti due giorni fa c’era Poroshenko, al quale Kilmeade ha chiesto delle pressioni esercitate sul suo “amico” Shokin. “Prima di tutto, questa persona è del tutto folle, e c’è qualcosa che non va in lui – ha detto Poroshenko – Secondo, non c’è una sola parola di verità in quel che dice. E terzo, detesto l’idea di fare commenti o di intervenire riguardo le elezioni americane. Abbiamo molto apprezzato il sostegno bipartisan all’Ucraina e per favore non usate una persona come Shokin per minare la fiducia tra l’impegno bipartisan e l’Ucraina... Non lo vedo forse da quattro anni o qualcosa del genere e non mi piace l’idea di vederlo perché sta giocando un gioco molto sporco… Fu licenziato a causa delle sue stesse dichiarazioni”.

 

La versione dell’ex presidente ucraino è stata mezza ignorata: che cosa volete che faccia un ucraino oggi se non difendere Biden visto l’aiuto che dà a Kyiv? Nessuno insomma, secondo i conservatori, è nella posizione di dire la verità, né Biden che difende suo figlio (la cui difesa è diventata più aggressiva: ieri ha citato in giudizio Rudy Giuliani, ex avvocato di Trump, accusandolo di aver manipolato e diffuso le sue corrispondenze) né l’Ucraina che dipende dagli aiuti americani né i repubblicani che considerano queste accuse poco pertinenti. Ma proprio in questo vuoto si salda la tattica trumpiana: l’Ucraina è una priorità soltanto di Biden, che per ragioni personali è determinato a difenderla con i soldi americani (pochissimi in proporzione alla spesa complessiva degli Stati Uniti), ma l’interesse nazionale non c’entra nulla. Questa teoria non ha bisogno di prove: basta insinuare il dubbio. E’ così che le elezioni americane più passatiste di sempre diventano un’ipoteca sull’Ucraina di domani.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi