Joe Biden - foto Ansa

Tra Usa e Sud America

Gli ispanici tengono Joe Biden sotto osservazione, ma sono freddi

German A. Duarte

Il voto della comunità latino americana potrebbe fare la differenza nei risultati delle prossime elezioni, e il presidente sbaglia a sottovalutare quella fetta d'elettorato: i risentimenti contro i democratici nascono proprio mentre lui era vice di Obama

La corsa di Donald Trump verso la Casa Bianca sembra non arrestarsi. Il tycoon si è messo in tasca la vittoria nel New Hampshire, un risultato che si aggiunge a quello ottenuto nel caucus dell’Iowa la settimana precedente. Diversamente da Ron DeSantis, che proprio con la sconfitta a Des Moines si è ritirato delle primarie, Nikki Haley sembra non arrendersi, benché tutto sembri indicare che Trump sarà il candidato dei repubblicani alle prossime elezioni. Per quanto riguarda i democratici, Joe Biden non nasconde le sue aspirazioni a una rielezione, anche se i sondaggi su un ipotetico scontro Biden-Trump non siano molto favorevoli all’inquilino della Casa Bianca. Tutto indicherebbe a una corsa all’ultimo voto, e in questo scenario, il voto ispanico potrebbe fare la differenza. È noto che negli Stati Uniti il voto latino-americano rimane sempre in arrière plan, ma gioca pur sempre un ruolo nelle elezioni americane. L’anno in corso potrebbe essere quello in cui questa non così esigua minoranza smetterà di avere un ruolo da comparsa per diventare protagonista, e questo potrebbe decisamente penalizzare le aspirazioni di Biden.
 

Nelle scorse elezioni il voto latino si è diretto in maggioranza verso Biden eppure, già dall’Amministrazione Obama, un sentimento anti democratici ha cominciato a covare nella comunità ispanica. E proprio mentre Trump si aggiudicava il New Hampshire, Biden aggiungeva un nuovo episodio alla lunga serie di desamores con i latinos. Questa volta il dissapore arriva da Caracas. La Corte suprema di giustizia del Venezuela, sottomessa al regime di Nicolás Maduro, ha confermato l’interdizione di Maria Corina Machado a candidarsi alle prossime presidenziali. L’anno scorso, la Machado aveva vinto le primarie dell’opposizione, che questa volta non solo sembrava disposta a presentarsi alle presidenziali 2024 in un blocco unitario, ma aveva finalmente ottenuto l’appoggio della Casa Bianca nel garantire elezioni pulite. Con i dialoghi a Barbados (nel 2023), e grazie alla mediazione di diversi paesi – la Colombia, il Brasile, la Norvegia e gli Stati Uniti, tra altri – l’opposizione unita (La Plataforma Unitaria) e il regime di Caracas avevano raggiunto una serie di accordi. Tra questi, compariva anche l’organizzazione di elezioni pulite, il che implicava che l’opposizione potesse presentarsi con i suoi candidati, interdetti dall’attività politica da una sentenza della procura generale della Repubblica. Contemporaneamente, con gli accordi di Barbados le cosiddette linee rosse fissate dagli Stati Uniti nelle sue relazioni con Caracas hanno iniziato progressivamente a spostarsi: sono state allentate le sanzioni, e questo ha permesso al regime di Maduro, dall’ottobre scorso, di vendere nuovamente petrolio all’America. Un paio di mesi dopo, a dicembre, gli Stati Uniti hanno avviato uno scambio di prigionieri e consegnato a Maduro il suo braccio destro, il colombiano Alex Saab. Quest’ultimo, arrestato durante l’Amministrazione Trump, era accusato dal dipartimento di Giustizia americano di aver organizzato una vasta rete di corruzione di cui avrebbe beneficiato anche il presidente Maduro. Saab avrebbe infatti orchestrato il dirottamento di centinaia di milioni di dollari destinati all’acquisto di alimenti per la popolazione venezuelana, oggi tra le più povere del pianeta. Il dramma venezuelano è conosciuto da tutta la comunità ispanica degli Stati Uniti e la liberazione di Saab, rischia di tramutarsi in un passo falso per Biden.
 

La migrazione latina verso nord è determinata dallo stabilirsi di governi oppressivi, talvolta di dittature, nei paesi sudamericani. E proprio questo elemento è da leggere in rapporto con l’identità delle varie comunità latino-americane degli Stati Uniti che, alla storica componente cubana, hanno visto aggiungersi, negli ultimi venti anni, la diaspora dei venezuelani respinti dal regime chavista (secondo l’Agenzia dei rifugiati dell’Onu, oltre sette milioni di venezuelani hanno abbandonato il paese in cerca di rifugio), e i colombiani in fuga dalla violenza della guerriglia (sostenuta inizialmente dai Castro e in un secondo momento da Hugo Chávez), dei narcotrafficanti e dei gruppi paramilitari di estrema destra. Anche l’Ecuador di Rafael Correa ha prodotto un’enorme resistenza, e parte di questa ha seguito i passi dei cubani, dei venezuelani, dei colombiani e dei milioni di centro-americani che hanno attraversato la frontiera per diversi motivi, ma tutti collegabili all’oppressione di regimi autoritari. E mentre si consumava la tragedia venezuelana, e raggiungeva la scala continentale che oggi conosciamo, s’installava l’Amministrazione Obama, che non solo ha trascurato i vicini sudamericani, ma ha iniziato una serie di negoziati con i regimi della regione. Questo, agli occhi della comunità latino-americana non poteva che essere il segno di un avvicinamento dei democratici al socialismo bolivariano e al regime cubano. 
 

È proprio lì, all’Havana, mentre Obama firmava i suoi accordi con il regime cubano, che si potrebbe individuare l’inizio della spaccatura tra i democratici e il voto ispanico. Il Cuban Thaw, o il deshielo cubano, ha portato alla luce la mancata presa di posizione degli Stati Uniti nella catastrofe causata dal chavismo, il vuoto lasciato dagli Stati Uniti nella regione. Senza dimenticare che le leggi contro l’immigrazione approvate durante i due mandati di Obama hanno finito per implicare il rimpatrio di milioni di latino-americani, e che il muro di Trump è apparso per la prima volta, agli occhi dei latinos, proprio durante l’Amministrazione Obama, dividendo famiglie e rafforzando i cartelli messicani del traffico di persone. Questo i latinos non possono dimenticarlo, come non possono dimenticare che Biden era il vicepresidente di Obama. Sembra anzi che la sua nuova politica migratoria cerchi di mitigare il ricordo di questo passato, e un ricordo che rischia di indebolire la sua posizione dinanzi ai trentasei milioni di possibili voti latino-americani. Nel corso dell’ultimo anno l’Amministrazione Biden ha attuato una diversa politica migratoria, molto mediatica, con un conseguente calo di rimpatri e un avvicinamento al governo messicano al fine di gestire insieme la crisi migratoria. La mossa sembra celare l’intenzione di garantirsi il voto messicano in California e, così facendo, di assicurarsi lo stesso risultato elettorale che l’ha portato alla Casa Bianca
 

Il sud del continente e i milioni di sudamericani con diritto di voto negli Stati Uniti aspettano ora di vedere con chiarezza la posizione di Biden rispetto all’ultimo sgarbo ricevuto dal regime venezuelano. Tutto lascerebbe intendere che un ulteriore spostamento delle linee rosse da parte di questa Amministrazione potrebbe portare, per i latinos, alla rottura della corda, decidendo così le sorti delle prossime elezioni americane.