Il tempo dell'accordo

Israele vota ma pensa al piano per liberare gli ostaggi. Le parole di Biden

Fabiana Magrì

La parentesi delle amministrative, che raramente sono un'indicazione di dove soffiano i venti politici, non ha distolto l'attenzione dal conflitto e dai negoziati. L'inizio del Ramadan è l'ideale scadenza per i mediatori

Tel Aviv. Sui manifesti gialloneri all’ingresso di 134 seggi elettorali lo slogan dice “Scegli gli ostaggi”. Sono le sezioni dove avrebbero dovuto votare gli israeliani rapiti e ancora sequestrati da Hamas a Gaza, da ormai 144 giorni. Queste e altre manifestazioni hanno segnato, ieri in Israele, l’atmosfera delle elezioni comunali in tempo di guerra. Le previsioni stimavano già un’affluenza particolarmente bassa alle urne, anche per la scarsa presenza del tema elettorale nei media, con l’attenzione tutta puntata sul conflitto e sugli ultimi sviluppi di un   accordo per la liberazione degli ostaggi e per un cessate il fuoco. In parte può avere influito il timore che il voto diventasse un target per gli attacchi dei razzi delle fazioni palestinesi ancora attive a Gaza ma soprattutto degli Hezbollah dal Libano. Anche per questo motivo, lo svolgimento del voto, a cui hanno diritto 7,2 milioni di cittadini, è stata “una dimostrazione della solidità del sistema democratico di Israele” per il ministro degli interni Moshe Arbel, che ha ordinato la predisposizione di urne elettorali dentro la Striscia di Gaza, per consentire ai militari in attività di votare. E per i 400 mila sfollati che devono ancora fare ritorno alle proprie case, era previsto che potessero recarsi in qualunque sezione, ovunque si trovassero. In 11 dei 252 consigli locali, quelli dove circa 180 mila residenti sono stati evacuati, le elezioni – già rinviate due volte per la guerra – si terranno invece tra altri nove mesi.

 

A livello nazionale, le amministrative sono raramente un’indicazione di dove soffiano i venti politici. “Devi tornare indietro di oltre 30 anni alle elezioni locali di Gerusalemme nel 1993 – quando Ehud Olmert, allora del Likud, rovesciò il laburista Teddy Kollek grazie a un’alleanza rivoluzionaria con la comunità Haredi, un presagio di quello che avrebbe portato Benjamin Netanyahu al potere tre anni dopo –- per trovare un’elezione locale che fungesse da barometro delle cose a venire sulla scena nazionale”, ha ricordato Anshel Pfeffer su Haaretz. Nella sua analisi osserva ancora che il fatto che Orna Barbivai di Yesh Atid – il partito di Yair Lapid – “probabilmente fallirà nel suo tentativo di strappare al laburista Ron Huldai un sesto mandato come sindaco di Tel Aviv, non significherà che HaAvodà, che nei sondaggi nazionali non sta nemmeno superando la soglia elettorale parlamentare, sia in procinto di riemergere”. Tuttavia altri analisti si chiedono se e come il voto rispecchierà la percezione, nell’elettorato, della performance post-7-ottobre della leadership al governo. Ciò che quasi tutti si aspettano, casomai, è il rafforzamento dei partiti ortodossi, la cui affluenza alle urne è generalmente molto elevata. A Gerusalemme, dove il sindaco Moshe Lion del Likud sarà facilmente eletto per un altro mandato di cinque anni, la sorpresa potrebbe essere proprio il risultato delle fazioni religiose più radicali. C’è chi prevede per loro un inedito exploit fino alla conquista di oltre metà del consiglio comunale.

 

La parentesi del voto non ha distolto l’attenzione dal conflitto e dai negoziati, con l’inizio del mese del Ramadan come ideale scadenza per i mediatori. Il presidente americano Joe Biden ha detto che spera che venga raggiunto un cessate il fuoco entro lunedì e che Israele – ma per un portavoce dell’ufficio del premier è “no comment” – ha accettato di fermare i combattimenti a Gaza durante il mese sacro musulmano se venisse raggiunto l’accordo per liberare gli ostaggi. Netanyahu  sarebbe stato  “sorpreso” dalle affermazioni di Biden, stando a una fonte israeliana citata da ABC. Ma anche un delegato di Hamas ha detto all’agenzia Reuters che i commenti del capo della Casa Bianca “sono prematuri e non corrispondono alla situazione reale sul terreno” poiché ci sono “ancora grandi lacune da colmare”. Non solo sul numero (che varia a seconda delle fonti) e sull’identità degli ostaggi israeliani e dei prigionieri palestinesi da scambiare. Il nodo sarebbe la smilitarizzazione di Gaza perseguita da Israele e il ritiro delle truppe di Tsahal, aspirazione di Hamas. Una delegazione israeliana è tornata comunque in Qatar lunedì sera per continuare i colloqui, ma più di un funzionario israeliano frena. C’è chi ha parlato di “lenti progressi” su alcune clausole ma ha avvertito che la negoziazione “sarà estenuante” e “se alcune persone pensavano che le cose sarebbero progredite rapidamente, oggi è diventato molto più difficile”. Il leader della fazione palestinese Ismail Haniyeh sostiene che l’organizzazione abbia mostrato molta flessibilità nei negoziati ma che non si farà dettare in nessun caso i tempi da Israele.

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