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dopo il 7 ottobre

Alla Berlinale applausi contro Israele e silenzi sull'attore rapito

Giulio Meotti

La claque per chi ha rapito l'attore ostaggio, David Cunio, non è altro che l'esempio di una retorica antisemita e antiisraeliana mal celata da molti e spacciata per libertà di parola

L’attore israeliano David Cunio è stato rapito da Hamas insieme alla moglie, alle figlie di tre anni, alla cognata e alla nipote durante il massacro del 7 ottobre. Cunio viveva a Nir Oz, il kibbutz teatro di una delle peggiori atrocità perpetrate dai terroristi palestinesi. Cunio è stato premiato per il film “Youth” alla Berlinale, il maggiore festival cinematografico tedesco. Sabato sera, alla consegna dell’Orso d’oro, l’uno dopo l’altro i protagonisti della Berlinale hanno espresso solidarietà alla Palestina e odio verso Israele.


Tra gli accessori innocui con cui si sono adornati anche i membri della giuria della Berlinale c’erano spille e adesivi con richieste di cessate il fuoco, che ovviamente sono dirette unilateralmente contro Israele. I cineasti hanno espresso le accuse più potenti contro lo stato ebraico: “Apartheid” e “genocidio”. La chiusura della Berlinale è stata una serata di gala per Hamas. Nessuno dei registi o attori premiati ha ritenuto che il massacro del 7 ottobre fosse degno di nota, così come la sorte degli ostaggi israeliani non sembrava preoccupare nessuno in sala. La direttrice del festival, Mariette Rissenbeek, ha citato Hamas, ma quasi in una formula di rito a cui non sembrava credere nessuno. Il direttore artistico, Carlo Chatrian, ha perso un’altra occasione per attirare almeno l’attenzione su David Cunio. La Berlinale, che di solito non è mai a corto di dichiarazioni su questioni politiche, ovviamente non ha visto alcun bisogno di parlare di un loro ex premiato oggi nei tunnel di Hamas. La Berlinale ha deciso quest’anno di dedicare tutte le sue energie alla  lotta contro l’AfD. Lo slogan “No Racism, no AfD” campeggiava sul palco durante la cerimonia di premiazione. Applausi scroscianti. Una presa di posizione decisa contro l’antisemitismo islamico e Hamas avrebbe richiesto troppo coraggio. Il regista sperimentale americano Ben Russell indossava una kefiah palestinese. Descrive il suo lavoro come “etnografia psichedelica”. Giusto, visto che la sua visione delle altre culture è un po’ offuscata.

 
Il vincitore dell’Orso d’oro, Basel Adra, ha ricevuto grandi applausi quando ha invitato la Germania a smettere di fornire armi a Israele. L’ambasciatore israeliano in Germania, Ron Prosor, ha affermato che “la retorica antisemita e anti israeliana” è celebrata alla Berlinale con il pretesto della libertà di parola e artistica. Lo slogan anti israeliano “Palestina libera  dal fiume al mare” è stato diffuso sull’account Instagram ufficiale della Berlinale. Un altro post con il logo della Berlinale recitava “Gaza, mon amour. Porre fine al terrore di stato finanziato dalla Germania”. Il festival si è difeso dicendo che qualcuno aveva hackerato l’account. Forse qualcuno in sala. Durissimo il capo degli ebrei tedeschi, Josef Schuster: “Sabato molti ebrei hanno ricordato l’11 ottobre 1998 guardando le immagini della cerimonia di premiazione della Berlinale: il discorso di Martin Walser alla Paulskirche, in cui lo scrittore fece la più disgustosa relativizzazione della Shoah nel ricevere il Premio per la Pace. Come allora, a Berlino non ci sono state obiezioni o gesti di rifiuto, ma piuttosto scroscianti applausi da parte della presunta élite culturale e politica presente in sala. Nessuno si è alzato. Noi ebrei siamo stanchi di doverci accontentare sempre di parole e promesse”. Il ministro della Giustizia, Marco Buschmann, evoca delle conseguenze penali. L’uso dello slogan “Palestina libera dal fiume al mare” potrebbe essere inteso come un’approvazione degli omicidi commessi da Hamas. “Premiare e avallare i crimini è un reato penale”, ha detto il ministro.  

“Applaudire, festeggiare e poi buonanotte? Sabato alla Berlinale era un horror assolutamente reale sull’antisemitismo nella Germania del 2024”, commenta la Süddeutsche Zeitung. Durissima anche la Bild: “È la frase più ipocrita della politica tedesca: ‘L’antisemitismo non ha posto in Germania’. Lo scandalo della Berlinale dimostra quanto possano sentirsi a proprio agio gli antisemiti in Germania. La verità è che l’antisemitismo ha un posto in Germania. Non solo da qualche parte nelle roccaforti della destra della Germania dell’est o nelle aree problematiche delle metropoli a dominanza musulmana. No, l’antisemitismo è in prima fila in Germania”. Nessuno ha menzionato le due berlinesi Carolin Bohl e Shani Nicole Louk, che avrebbero voluto essere tra i visitatori del festival se Hamas non le avesse violentate e uccise il 7 ottobre. Hamas non ha bisogno di un proprio ufficio stampa. Gli bastano i ceti abbienti europei.
 

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.