Accenni di caos

Contarsi e ricontarsi a Kyiv, tra le proteste sparute a sostegno di Zaluzhny

Micol Flammini

Al Maidan c'è una ragazza con un cartello:  “Anche i soldati si stancano, la vittoria è responsabilità di tutti”. La decisione più difficile per l’Ucraina: preparare altri uomini 

Kyiv, dalla nostra inviata. La protesta non esiste, ma secondo i pochi che si ritrovano con il ritratto di Valeri Zaluzhny e con il suo nome scritto sugli striscioni dipinti di celeste e di giallo, gli scontenti cresceranno. Non fanno in tempo a dirlo, che sono già diminuiti, ogni giorno sono un po’ di meno. Venerdì, erano in centinaia i radunati a Piazza Indipendenza per chiedere al presidente Volodymyr Zelensky di rimettere a capo della Forze armate l’amato Zaluzhny. Amato dai nostalgici delle prime vittorie intrepide, apprezzato dai soldati, voluto da chi si rivolge a Zelensky chiamandolo “il presidente-generale”. Eppure, questi scontenti e irriducibili non sono bravi a contarsi, diminuiscono di giorno in giorno, in un paese in cui le proteste sono cocciute e rischiose, o si infiammano o non esistono. Non contano granché, ma gli ostinati, ammantati di bandiere, sostengono di non essere pochi, ma di darsi il cambio: “Siamo in guerra, non possiamo fare delle grandi manifestazioni, è un rischio con i bombardamenti”. Non vogliono sentir parlare di politica, vogliono discorrere soltanto di esercito e controffensive, sostengono che nessuno come Zaluzhny tenga ai “nostri”. I nostri sono i soldati, i difensori di un paese in cui tutti appartengono a tutti: l’Ucraina è di ogni cittadino e ogni cittadino appartiene agli altri, i figli sono di tutti, ma l’esercito? Di chi è l’esercito? “Nashi”, i nostri, dicono gli irriducibili, sanno che solo Zaluzhny può badare a loro, “l’altro” non sa come farlo.

 

L’altro è Oleksandr Syrsky, nominato capo delle Forze armate per sostituire Zaluzhny, ha fama di essere freddo, distaccato, nato in un posto che non è “nash”, non è “nostro”. “E’ russo”, dicono gli irriducibili, “non può trovare la motivazione per combattere contro di loro”. Zaluzhny sicuramente non è “nash”, è nato nell’Ucraina occidentale, Syrsky invece è di Vladimir, a duecento chilometri da Mosca, gli irriducibili lo vedono come un corpo estraneo e contraddicono chiunque sostenga che abbia organizzato una controffensiva ingegnosa che a settembre del 2022 è stata in grado di cacciare l’esercito “dei loro”, dei russi, da un’area di oltre novemila chilometri quadrati: “Quello è tutto merito dei volontari?”. E chi li coordina i volontari? “Sono volontari”. Agli occhi di chi sfida il freddo e protesta in Piazza Indipendenza, Zaluzhny è l’uomo della responsabilità, è il generale paterno, Syrsky è il calcolatore, il cinico. La protesta però, in realtà, non esiste, è sparuta e solitaria e non perché chi l’organizza abbia pensato ai rischi per la sicurezza, ma perché per quanto la sostituzione di Zaluzhny non sia piaciuta, non sono molti gli ucraini che credono sia il momento di rompere l’unità, di protestare contro Zelensky, di far vedere a Vladimir Putin che mentre per le sue strade regna un ordine agghiacciato, a Kyiv ci sono accenni di caos. 

 

Non è il momento di dare al Cremlino la soddisfazione della confusione nella più iconica e sofferta delle piazze. L’Ucraina in questi giorni dovrà affrontare uno dei suoi dibattiti più importanti, uno di quelli che finora ha sempre preferito rimandare, per evitare divisioni, costi politici, sfregi umani. Il Parlamento dovrà dibattere della legge per mobilitare nuovi uomini e smobilitare chi ormai da anni è al fronte senza riposo. Sola, vestita di rosso, con la bandiera dell’Ucraina legata al collo, una ragazza bionda regge un cartello: “Anche i soldati si stancano, la vittoria è responsabilità di tutti”. Non le importa nulla se a capo delle Forze armate c’è Zaluzhny o c’è Syrsky, vuole soltanto che a suo marito venga consentito di andare in licenza, di riposare e che la vittoria contro Mosca non sia tutta sulle spalle della sua famiglia. Se neppure per il regime russo è così semplice annunciare una mobilitazione – Vladimir Putin attende le elezioni del 17 marzo, non vuole caos prima della sua riconferma – per l’Ucraina è ancora più complesso.

 

Prima che la controffensiva estiva prendesse forma, gli americani e gli ucraini avevano dibattuto sulla quantità di uomini necessaria da mandare a sfondare le linee russe a sud e secondo i resoconti dei giornali americani, Kyiv si era rifiutata di inviare la quantità di uomini consigliata dagli Stati Uniti. La risposta degli ucraini era stata che con quei numeri, non ci sarebbero stati più soldati a disposizione. Anche Zaluzhny aveva chiesto di mobilitare più uomini, la guerra ha un ritmo lento e un avanzare gravoso, secondo l’ex comandante delle Forze armate il momento di preparare nuovi uomini è arrivato da tempo. Syrsky non potrà fare a meno di chiedere la stessa cosa, probabilmente si legherà a lui, al suo nome, la decisione storica e dispendiosa di cambiare le leggi per arruolare nuovi uomini e, secondo gli irriducibili, dal nuovo capo delle Forze armate non si può accettare questa richiesta, da Zaluzhny sì. “Nessuno di noi vuole essere conquistato – dice la ragazza stretta nella bandiera ucraina – noi donne organizzeremo una protesta davanti alla Verkhovna Rada, il Parlamento. Sappiamo che i nostri mariti devono andare, ma c’è bisogno di un ricambio: la vittoria sarà di tutti, quindi deve essere una responsabilità condivisa”. 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.