Il cambio a Kyiv

Come sarà la difesa dell'Ucraina ora che a guidarla c'è Oleksandr Syrsky

Paola Peduzzi

Il presidente Zelensky ha infine sostituito Zaluzhny. La guerra nel 2024, con risorse e appoggi più scarsi. il peso del cambiamento

Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha infine mandato via il capo delle Forze armate, Valery Zaluzhny, che ha detto che la guerra nel 2024 sarà diversa da quella che è stata finora e quindi c’è bisogno di cambiamenti e di una nuova strategia. Al suo posto, Zelensky ha nominato il generale che finora era a capo delle operazioni militari di terra, Oleksandr Syrsky, che già nell’aprile del 2022 era stato nominato Eroe dell’Ucraina perché aveva organizzato la difesa di Kyiv nei primi giorni dell’invasione russa, quando nessuno ci credeva davvero, ma lui sì: fu sua l’idea di aprire la diga vicino a Irpin che costrinse i russi, allagati, a retrocedere. Il nome di Syrsky come possibile sostituto di Zaluzhny circola da quando sono emersi i dissapori tra l’ormai ex capo delle Forze armate ucraine e il presidente.  

 

Cioè almeno dall’estate scorsa, quando è iniziata la seconda controffensiva che, abbiamo scoperto dopo, è stata impostata senza considerare i cambiamenti sul campo e nella curva di apprendimento dell’esercito russo – la responsabilità dei partner della Nato in questi errori è grande – e si è rivelata così meno efficace rispetto alle aspettative. Poi quando Zaluzhny ha definito la controffensiva “uno stallo” in modo esplicito (in un’intervista all’Economist, a novembre), la leadership ucraina è entrata in modalità “damage control”, senza però riuscire a evitare quel che, a una certa distanza, pare inevitabile: se c’è un’incomprensione tra civili e militari, in una democrazia, sono i secondi che devono andarsene. Di questo crescente disamore s’è scritto e chiacchierato molto e probabilmente lo si farà ancora, ma le ragioni personali e caratteriali non sono poi così interessanti, visto che l’Ucraina è un paese in guerra e deve decidere la strategia per la propria sopravvivenza contro un’aggressione russa che non accenna a fermarsi. Zelensky e Zaluzhny hanno due visioni differenti su come proseguire, in particolare sulla questione più drammatica che è il reclutamento di nuovi soldati. Il generale aveva detto che erano necessari 500 mila nuovi soldati da reclutare con una mobilitazione forzata – chi voleva già andare a combattere, è al fronte – che il presidente non voleva fare. Non è una questione da nulla, anzi è la questione dirimente: se l’Ucraina finisce gli uomini, proprio mentre l’appoggio americano, che è vitale e insostituibile, ritarda e l’America finisce in una disfunzionalità che sembra già un assaggio di un possibile ritorno di Donald Trump, la difesa del paese diventa impraticabile. Nel suo ultimo editoriale su un media internazionale pochi giorni fa (era la Cnn), Zaluzhny aveva ribadito: “Il nemico ha un vantaggio perché può richiamare molti uomini mentre le istituzioni ucraine sono incapaci di farlo senza adottare misure impopolari”. Il nemico ha anche il vantaggio di poter cambiare tre capi delle Forze armate nel primo anno e mezzo di una guerra scatenata senza motivo senza che questo  faccia il clamore – e che scateni la propaganda anti ucraina – che fa il cambiamento a Kyiv.

 

La grande differenza per il momento nota tra Zaluzhny e il suo successore è la popolarità. Il generale uscente è molto amato, il generale entrante meno.  Nato a Vladimir nel 1965 (allora Unione sovietica, oggi Russia), Syrsky è arrivato in Ucraina negli anni Ottanta dopo essersi formato, come molti suoi colleghi, alla scuola militare di Mosca. Nel 2014, alla prima invasione della Russia nell’est dell’Ucraina, il generale si occupava delle operazioni di guerra, cosa che ha continuato a fare, in tutto il paese, dal 2019 in poi. Descritto come un grande pianificatore, con uno stile di vita ascetico e moltissima palestra, la prima volta che il suo volto è diventato noto a livello internazionale è quando mise la bandiera ucraina a Balakliya, nella regione di Kharkiv, in quel settembre del 2022 in cui gli ucraini sfondarono le linee nemiche, conquistarono molte città e costrinsero i russi alla fuga. Fu anche sua l’idea di confondere l’esercito russo, facendo credere che la controffensiva sarebbe stata a sud – e portando quindi i russi a spostare lì i soldati più preparati – e poi sorprendendolo a nord-est, dove c’erano le truppe meno capaci che infatti spesso scapparono senza combattere. Il 2023 è stato un anno molto diverso e quindi ora la faccia di Syrsky è legata anche alla battaglia cruenta e perdente di Bakhmut, nel Donbas, che ha causato molte divisioni tra chi decide la strategia di guerra e soprattutto moltissimi morti. Questo sacrificio, che molti hanno sempre considerato evitabile, è anche alla base della minore popolarità del generale presso le truppe. 

 

Ora dovrà definire assieme a Zelensky come condurre la guerra in questo 2024 che si presenta come il più difficile, perché non ci sono le munizioni – l’alternativa proposta da Zaluzhny probabilmente sarà accolta: bisogna fare una guerra che non dipenda dalle munizioni che non ci arrivano – e perché non stanno arrivando gli aiuti militari americani che erano previsti. Soprattutto, gli occidentali hanno dimostrato di ammirare e di voler sostenere l’Ucraina quando sbaragliava i russi, ora che si vede fino a che punto è forte l’alleanza, molto meno. Ed è questo il colpo più tremendo agli ucraini, molto più della dismissione del generale popolare.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi