Elon Musk (Ansa)

L'ipotesi

E se Musk avesse comprato Twitter per via dei suoi jet privati? Un nuovo libro 

Pietro Minto

Dietro l'acquisto di X da parte del tycoon di Tesla non vi sarebbe tanto l'intenzione di difendere la libertà d'espressione, quanto piuttosto di ottenere il controllo di tutti quei profili che tracciavano i movimenti del suo jet privato

E se fosse tutta colpa dei jet privati? Da un paio di anni in molti si domandano cosa abbia spinto Elon Musk a comprare Twitter, sborsando la folle cifra di 44 miliardi di dollari (presi in gran parte in prestito utilizzando le sue azioni Tesla come garanzia). C’è chi sostiene che l’acquisto fosse parte della sua crociata in difesa della libertà d’espressione e c’è chi lo vede come parte della strategia per creare X, “the everything app”, l’applicazione definitiva che conquisterà il mondo. Secondo l’estratto del nuovo libro di Kurt Wagner pubblicato da Bloomberg Businessweek, “Battle for the Bird”, il tutto è avvenuto di fretta, sulla base dell’istinto di un paio di miliardari alle prese con piccole vendette personali. Una di queste riguarda gli aerei privati: nel 2022 Musk chiese a Parag Agrawal, allora neoamministratore delegato di Twitter, di agire contro @ElonJet, un profilo Twitter che condivideva in tempo reale gli spostamenti del suo jet privato.

A leggere Wagner, la richiesta di Musk cadde nel vuoto e così lui “il giorno dopo cominciò a comprare azioni di Twitter”. Il resto della storia è noto: Musk ottenne il 9 per cento della società, gli fu proposto un posto nel CdA ma ogni trattativa affondò fino alla sua offerta d’acquisto, che fu accettata da Agrawal. Sarebbe ovviamente riduttivo sostenere che l’affaire Twitter-X sia stato causato dal tracciamento dei viaggi dei jet personali, ma la questione è tornata alla ribalta in questi giorni quando Taylor Swift ha minacciato di denunciare lo stesso utente che aveva infastidito Musk, che nel frattempo ha realizzato un account simile sugli spostamenti della cantante. 

Jet privati a parte, le rivelazioni di Bloomberg si concentrano soprattutto sul ruolo avuto da Jack Dorsey nell’ascesa di Musk: Dorsey è stato cofondatore di Twitter, che ha guidato fino al 2021, quando se ne andò per concentrarsi su criptovalute e Web3. Fu Dorsey a consolare Musk quando, dopo la compravendita di Twitter, i primi investitori cominciarono a fuggire dalla piattaforma; fu Dorsey a ripetergli che il social non avrebbe dovuto basarsi sulla pubblicità e avrebbe dovuto decentralizzarsi per evitare il controllo di “governi e inserzionisti”. I rapporti tra i due si incrinarono presto, a partire dai primi licenziamenti di massa decisi da Musk, che riguardarono alcune delle persone più fedeli a Dorsey. In quei giorni l’ex ceo twittò un messaggio d’amore verso “tutte le persone che hanno lavorato” per il sito, con una punta emo: “Non mi aspetto che il sentimento sia reciproco né che lo possa diventare. E capisco”.

Non che la gestione di Dorsey fosse stata senza intoppi, certo. Negli ultimi mesi prima della sua uscita di scena, avvenuta nel novembre del 2021, aveva la testa altrove, la sua bio su Twitter conteneva una sola parola (#Bitcoin), e i suoi interessi imprenditoriali lo distraevano non poco da una piattaforma sempre più spinosa. In piena campagna elettorale, per esempio, Twitter bloccò di fatto la diffusione di una storia su Hunter Biden, figlio dell’attuale presidente americano, per poi cancellare il profilo di Donald Trump dopo l’attacco al Campidoglio del gennaio 2021 – tutte decisioni che inferocirono i repubblicani, furono criticate dallo stesso Dorsey e cementarono in Musk l’idea di passare all’azione. E qui arriviamo all’assurdo: quando Elon si decise a farlo, tra le persone che lo sostenevano c’era proprio Dorsey, che pure aveva guidato Twitter negli anni precedenti.

Nonostante tanto caos, l’attuale crisi di Twitter sembra aver risolto uno dei problemi denunciati da Dorsey, secondo il quale la piattaforma aveva troppo controllo sulla libertà d’espressione globale: il mondo sarebbe stato un luogo migliore se tanto potere fosse stato distribuito. E così è stato: sono nati molti prodotti concorrenti a Twitter, tra cui Bluesky, un clone di Twitter finanziato da Dorsey che in questi giorni ha aperto a tutti dopo un periodo di prova; e poi c’è Mastodon, Threads e prodotti ancora più di nicchia come Farcaster, che piace ai fan delle criptovalute. Si direbbe che il piano abbia funzionato, anche se rimane il dubbio che nessuna delle persone interessante ce l’avesse davvero, un piano. 

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