Bruxelles. Foto di Pietro Guastamacchia 

L'editoriale del direttore

Gli agricoltori combattono contro tutto ciò che ha permesso all'agricoltura di prosperare nel mondo

Claudio Cerasa

I trattori puntano contro Europa, libero mercato e globalizzazione, dimenticando però i finanziamenti europei, le esportazioni rese possibili dagli accordi commerciali e i danni che comporterebbe alzare le barriere

Ieri a Bruxelles è stata la giornata dei trattori. Centinaia di agricoltori, arrivati da tutta Europa, si sono incontrati di fronte alla sede del Parlamento europeo, a Place de Luxembourg, per protestare contro la politica agricola comune, contro il Green deal, contro la globalizzazione, contro la concorrenza, contro l’Europa e contro alcune politiche degli stati membri. Finora, i politici con cui si sono confrontati gli agricoltori hanno cercato di assecondare le loro richieste, di comprendere le loro proteste, di andare incontro alle loro istanze e nel giro di pochi giorni il partito unico del trattore ha ottenuto risultati incredibili.

La Commissione europea ha messo in stand by i negoziati per concludere un importante accordo di libero scambio con Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay e Venezuela (il Mercosur). Ha introdotto salvaguardie sulle importazioni di prodotti agricoli dall’Ucraina, nelle stesse ore in cui il Consiglio europeo si impegnava per offrire maggiori finanziamenti per sostenere Kyiv (50 miliardi, ieri). E ha accettato di firmare una deroga sulla famosa messa a riposo del quattro per cento dei terreni coltivati, decisa anni fa per tutelare gli ecosistemi con incentivi finanziari.

Gli agricoltori, al momento, stanno vincendo, anche dal punto di vista comunicativo (vedi il caso del governo italiano, che da mesi segue a pappagallo l’agenda della Coldiretti al punto da essere con la Coldiretti anche quando questa sostiene gli agricoltori che scendono in piazza contro il governo italiano). E finora nessun leader politico, né in Italia né in Europa, ha trovato il coraggio di ricordare agli agricoltori una piccola verità che prima o poi meriterebbe di essere ribadita e che suona grosso modo così: tutto quello contro cui gli agricoltori combattono oggi, quello che ripudiano, che criticano, che osteggiano, che denigrano, è tutto ciò che negli ultimi anni ha consentito loro di crescere, di prosperare e di avere un futuro.

I trattori, minacciosi, puntano contro l’Europa, come abbiamo visto, dimenticando però che le istituzioni europee sono le stesse che per l’agricoltura hanno stanziato nell’ultimo bilancio comune dell’Ue 400 miliardi su 1.200 (l’agricoltura vale circa il 3 per cento del pil dell’Ue e vale quasi il 30 per cento del budget annuale della Commissione). I trattori, arrabbiati, puntano contro il libero mercato, come sappiamo, dimenticando però che gli accordi commerciali offrono agli agricoltori opportunità infinite per esportare (nell’ultimo decennio, in Italia, il peso del commercio agroalimentare sulle esportazioni mondiali è cresciuto dal 7,8 per cento del 2012 all’8,4 nel 2022) e dimenticando che spesso sono proprio gli accordi commerciali che prevedono il riconoscimento e la tutela dei prodotti Ig dei paesi contraenti, come è successo nel caso dell’accordo tra Ue e Cina, dell’Economic Partnership Agreement  tra Ue e Giappone (quest’ultimo ha previsto la tutela automatica di oltre 200 prodotti Ig dell’Ue, 26 solo dell’Italia).

I trattori, indignati, demonizzano la globalizzazione, chiedono più dazi, sognano di alzare barriere, dimenticando però che il protezionismo chiama protezionismo, che quando il mondo si chiude sono i paesi esportatori a pagarne le conseguenze e che la ragione per cui la globalizzazione spesso fa paura è legata all’incapacità del tessuto agricolo di dotarsi della giusta struttura per sfruttare le potenzialità del mercato (la competitività dell’agroalimentare italiano, scrive Ismea nel suo rapporto 2023, è inferiore rispetto alla media Ue per questioni legate alla propensione a investire, alla produttività e a una filiera “complessivamente più debole e frammentata rispetto alla media Ue, a causa di una maggiore presenza in tutte le fasi di micro, piccole e medie imprese finanche nel settore distributivo organizzato”). L’agenda europea non sarà la migliore del mondo ma è comunque preferibile a un’agenda Tafazzi che con la complicità di alcuni politici in malafede punta a trasformare le fonti di benessere dell’economia in un totem da abbattere. Anche no, grazie.
 

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.