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le Proteste

Noi, i politici e gli agricoltori. Storia di una maxi contraddizione

Antonio Pascale

Le richieste ambigue dei consumatori, spaesati tra la narrazione della qualità del prodotto locale, la promozione del made in Italy e la dura realtà: più sporca, faticosa, ruvida e soggetta alle intemperie

Quante cose chiediamo all’agricoltura e quante sono contraddittorie: coltivare a chilometro zero, però essere forti nelle esportazioni, altrimenti se non esportiamo il giusto quantitativo di mele poi il restante ce lo dobbiamo mangiare noi: una mela al giorno toglie il medico di torno, ma provate a mangiarne 30. Vogliamo il made in Italy, come se i confini geografici garantissero in automatico la qualità, ma per produrre italiano siamo costretti a importare. Per forza, questioni di orografia spicciola, in Italia ci sono molte montagne e poca pianura, quindi dobbiamo affidarci alle pianure degli altri. Ogni volta che parliamo di un qualsiasi prodotto è obbligatorio sottolineare che è biologico. Ignorando che per uccidere i patogeni non basta la parola, come diceva la pubblicità ideata dalla buonanima di Marcello Marchesi. I patogeni hanno la tendenza a non leggere i disciplinari di produzione, se vedono un bel frutteto di mele pensano che quello sia il paradiso.

Sono luculliani come noi. Come noi parlano solo di cibo, dunque attaccano i campi. Ne consegue che l’agricoltore convenzionale e quello bio hanno gli stessi problemi, trovare molecole chimiche, tossiche per gli insetti e innocue (entro certi limiti) per noi. La diatriba fra bio e convenzionali genera fastidiosi paradossi. I bio vogliono le piretrine, cioè, composti estratti dai fiori di Chrysanthemum cinerariaefolium. Che però non si coltivano in Italia, ma in alcuni stati africani, oppure in Nuova Papuasia. Per raggiungere una buona produzione è necessario mettere su coltivazioni intensive che tra l’altro sono soggette ad attacchi fungini. Dunque, per produrre insetticida bio si è costretti a usare un fungicida non bio. Vogliamo il letame ma non gli allevamenti animali che lo producono, disegniamo nei programmi TV il contadino ideale, ma poi incontriamo quello reale e ci accorgiamo che i galli cantano e ci rovinano il sonno.
 

Questo è un parzialissimo elenco di contraddizioni, ma provate a mischiare le singole voci tra loro e vedete cosa viene fuori, roba di grande comicità. Capite perché gli agricoltori protestano? Perché l’opinione pubblica, abituata all’abbondanza, agli onnipresenti chef che ci parlano della poesia del cibo, agli esperti di vino che sono ormai i nuovi scrittori da premio Strega, con quella retorica che nemmeno i sofisti dei bei tempi andati, insomma l’opinione pubblica ha perso il senso della terra. Che è sporca, brutale, soggetta al tempo atmosferico e al caos dei microambienti. Necessità di lotta, di ricerca, di innovazione e di soldi. Confusa com’è, l’opinione pubblica alza molto l’asticella e lascia gli agricoltori soli nella preparazione del salto. Se è confusa l’opinione pubblica figuratevi i politici europei che sono espressione dei 27 stati membri, ognuno con il suo insanabile elenco di contraddizioni. Quindi nella sostanza una maxi contraddizione. Quei politici in genere redigono regolamenti sibillini che poi non sanno spiegare ai singoli imprenditori agricoli. Non sanno dire come fare a convertire un quarto dei propri terreni coltivati ad agricoltura biologica entro il 2030, e come ridurre drasticamente l’uso di agrofarmaci. Tra l’altro, senza ricorrere alle odiate multinazionali della chimica che già oggi vendono agrofarmaci bio. Anzi, gli agricoltori non riescono nemmeno a parlare con il politico europeo di riferimento, perché il Parlamentare europeo non ha l’iniziativa legislativa. Il Parlamento europeo può al massimo fare un ordine del giorno o una risoluzione e pregare la commissione di predisporre una proposta di regolamento. La quale proposta sarà inviata al Parlamento ma anche al Consiglio dei ministri dei governi degli stati membri che, come dicevamo, si dibattono in contraddizioni permanente. Risultato? L’agricoltore è intrappolato in una rete di burocrazia che Kafka scansate. Ma al contrario di Gregor Samsa, alla fine si innervosisce. A me, come a molti, non piacciono i blocchi stradali, creano solo caos e altra burocrazia per disciplinare il caos. Sarebbe utile impiegare le energie al meglio, per spiegare come funziona l’agricoltura reale e lasciare quella ideale a certi servizi patinati del tipo: ero un manager milionario ma triste ora allevo capre e sono felice. E perdere un po’ di tempo per discutere di trattati in maniera chiara, distinguendo la politica comune dalle singole competenze che rispondono ai singoli problemi. Sentire profumo di cose comuni europee è bello, aiuta a pensare in grande, abitua al senso di squadra, ma facciamo in modo che la squadra non collassi.
 

Però tranquilli, tutto finirà presto, sapete perché? Perché a gennaio si lavora poco nei campi, fra poco gli agricoltori torneranno ai lavori e molleranno i blocchi stradali, e noi purtroppo per tutto l’anno mangeremo in abbondanza e torneremo a impantanarci nelle contraddizioni, locali, nazionali, europee, ideologiche.

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