Protesta dei trattori in Francia (LaPresse)

Quanto pesa e di che colore è il malumore agricolo contro l'Europa delle città

Jacopo Giliberto

Ancora una volta, la sinistra europea e italiana non capisce  il significato di questa nuova protesta e lascia alla destra, in Italia soprattutto alla Lega, la capacità di raccogliere l’inquietudine  agricola. E aveva già  perso anche il tema della caccia

Il contado si ribella contro la città, quelle belle rivolte contadine come nei secoli bui di Alessandro Barbero. Le proteste dei contadini percorrono l’Europa. Prima Olanda, poi Germania, ecco la Francia; e anche Polonia, Scozia, Romania, Spagna. Pure l’Italia. E’ proprio l’Europa dei cittadini l’oggetto delle proteste agricole. Per “Europa dei cittadini” s’intende non la comunità delle persone titolari dei diritti di cittadinanza bensì, in senso letterale, proprio l’Europa dei cittadini che vivono nella città, in appartamenti terrazzinomuniti e in villette a schiera con siepe di lauroceraso e forsizia d’ordinanza. 


Ancora una volta la sinistra europea e italiana non capisce il significato di questa nuova protesta e lascia alla destra, in Italia soprattutto alla Lega, la capacità di raccogliere il malumore agricolo. Sono lontani i tempi in cui il Partito comunista leggeva le dinamiche della società attraverso la lente nitidissima di Antonio Gramsci e ne interpretava i bisogni anche attraverso i simboli, come nel caso dei braccianti nei campi e degli operai nelle officine rappresentati in forma iconica dalla falce e dal martello. I prestatori di lavoro muscolare a cottimo esistono ancora, chini a raccogliere carciofi oppure infagottati sulle bici elettriche per consegnare il pranzo dei cittadini nel portapacchi termico, ma la maggior parte di questo proletariato moderno non solo non ha partiti di riferimento ma non ha nemmeno il diritto di voto.

  
I cortei di trattori – accompagnati dalla posa di filari di rotoballe e dal fiotto degli spandiletame – si agitano contro cose differenti, secondo i diversi paesi. In Italia l’inquietudine agricola è meno animata che in altri paesi europei. Trattori si sono aggregati soprattutto in Veneto, in Lombardia, in Piemonte e in Sicilia, ma manifestazioni si sono viste anche in altre regioni. Fra i temi più caldi spiccano il sottocosto imposto dalle catene della grande distribuzione per l’ortofrutta venduta al supermercato e il progetto di far pagare ai produttori agricoli l’Irpef come la paghiamo noialtri. Poi la protesta si arricchisce di altri segnali di malessere, come il no alla carne coltivata oppure l’opposizione alle estensioni di silicio fotovoltaico in sostituzione delle risaie storiche del Vercellese. Uno fra i manifesti di convocazione dei comizi rurali chiede “l’agricoltura del territorio”. E’ contestata soprattutto la Coldiretti, l’associazione che più spesso coltiva questi dissapori; sono molto caute nell’esprimersi le altre grandi associazioni, come il mondo imprenditoriale della Confagricoltura e l’area cooperativa. 


In Polonia e in Romania il disagio riguarda soprattutto le importazioni concorrenti di prodotti agricoli ucraini. In Germania, per ripianare il disavanzo creato da una sentenza della Corte costituzionale sulla costituzione di fondi fuori bilancio, il governo ha deciso di sopprimere le agevolazioni fiscali sul gasolio agricolo, uno di quei “sussidi ai petrolieri” tanto odiati dagli ecologisti di città. In Francia gli agricoltori contestavano soprattutto le proposte del governo per aumentare il costo dell’acqua irrigua e le tasse sui fitofarmaci, quelle cose che noi abitanti di città esigiamo perché “la chimica ci avvelena” e contro “lo spreco di risorse idriche”. Il governo francese poi aveva ritirato alcune delle proposte. Rotoballe di fieno molto fermentato hanno paralizzato ristoranti McDonalds (anzi McDo, come dicono i francesi con la loro passione sfrenata per le abbreviazioni), uno dei simboli dell’odiata globalizzazione dei mercati e del cambiamento sociale. In Olanda qualche mese fa le proteste riguardavano le norme per ridurre gli allevamenti, da limitare perché producono nitrati, precursori di biossido di azoto, Pm10 e Pm2,5, quelli che “l’aria delle nostre città è sempre più irrespirabile” e “i polmoni dei nostri bambini”.

  
Più in generale, viene osteggiata dal mondo rurale la politica europea nelle scelte economiche, ambientali, sociali e produttive. Il Green Deal di Bruxelles prevede di dimezzare l’uso di prodotti chimici per l’agricoltura; vuole uniformare al rialzo il peso fiscale sui carburanti fossili e rincarare il gasolio agricolo allo stesso costo del gasolio pagato dalle auto; no all’uso della plastica, dove il polietilene per i teli di serra o per avvolgere le rotoballe è alla base di molte pratiche agronomiche. 


La commissione di Bruxelles è percepita dal mondo agricolo come rappresentante del mondo urbano sempre più lontano e nemico. Noi cittadini diciamo vergogna per i frammenti di polietilene che rimangono nel terreno dopo le pacciamature; vogliamo chiudere gli allevamenti; salviamo gli orsi e proteggiamo le nutrie; no agli allevamenti; poveri pulcini; no ai prodotti di sintesi nelle coltivazioni; orrore il glifosate; no allo spandimento dei letami e dei fanghi puzzolenti; no agli Ogm. Un esempio per tutti è l’indignazione delle “mamme consapevoli” contro la strage pasquale di agnellini e capretti e contro l’uccisione dei teneri vitellini, ma le “mamme consapevoli” quelle con il cestino sulla bici non ricordano che, fin dalla rivoluzione agricola del neolitico, per produrre lana, uova, latte, burro e formaggio servono greggi, pollai e mandrie frutto dell’uccisione seriale di tutti i cuccioli maschi. Noi cittadini chiediamo al mondo agricolo un ritorno un passato bellissimo e immaginario mai esistito.


Così la destra ha gioco facile nella legge contro la “carne coltivata” e per dichiarare giammai agli insetti come ingredienti. La sinistra, voce del mondo urbano, aveva già perso anche il tema della caccia, oggi espresso anche in questo caso dalla Lega. Una volta i cacciatori trovavano un appoggio nel Pci e l’Arcicaccia era una presenza importante di presidio del territorio. Erano gli anni in cui una delle figure più grandi dell’ambientalismo (del femminismo, delle lotte comuniste), Laura Conti, aveva scritto il saggio “Discorso sulla caccia”. Scrisse: “Sono stata indotta a modificare il mio punto di vista sulla caccia dagli approfondimenti che sono in corso nella cultura ecologica: approfondimenti che, secondo me, né i Verdi né le associazioni ambientaliste, nel nostro paese, hanno percepito”. Pensava alla caccia consentita anche ai braccianti e ai contadini contro l’esclusiva dei notabili e della nobiltà con le sue tenute e le riserve. Laura Conti venne ripudiata dal movimento ecologista. E oggi la caccia, che noi cittadini aborriamo, è tutelata dai partiti di destra e ripugnata dalla sinistra.

  
La protesta di oggi è della classe agricola, per sua natura più propensa alla conservazione che al cambiamento, ma come è ormai normale il volume della contestazione viene ingrandito dai professionisti del mugugno, dai cospirologi compulsivi, dai trumpisti, dall’area malmostosa dei no vax, dalle solite schiere di “bandierini” e “mattoncini” che popolano le piattaforme social. Quindi i messaggi si arricchiscono di contestazioni contro “le politiche globaliste”, contro la lobby del Wef, contro la truffa del clima che non cambia, contro la grande finanza delle equity. Qualcuno fomenta? E’ possibile, ma andare oltre è un esercizio sdruccioloso di cospirologia applicata.