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Il movimento europeo

Ragioni utili per ascoltare senza assecondare le rivolte degli agricoltori

Carlo Stagnaro

Col trattore in tangenziale, forse non vanno a comandare. Ma di certo provano a mettere un'ipoteca politica sulle scelte dell'Unione europea e degli stati membri grazie all'appoggio di movimenti anti-establishment e populisti

Col trattore in tangenziale gli agricoltori forse non vanno a comandare, ma certo provano a mettere un’ipoteca politica sulle future scelte dell’Unione europea e degli stati membri. Le mobilitazioni hanno spesso motivazioni locali: le agevolazioni sul gasolio agricolo in Germania, i problemi idrici in Francia, l’esenzione ai fini Irpef dei redditi dominicali e agrari in Italia. Ma ci sono anche elementi comuni, che vanno dal calo delle risorse della politica agricola comune all’insofferenza per la concorrenza estera fino a un vasto rigetto delle politiche climatiche europee (come nel caso degli obblighi della nature restoration law). Visto il loro numero e la loro capacità di mobilitazione, c’è da stare sicuri che gli agricoltori troveranno ascolto, anche perché – quando ciò non accade – si saldano con i movimenti anti-establishment e populisti, dal partito dei contadini in Olanda al Rassemblement National in Francia.

 

 

La protesta è in parte comprensibile e va ascoltata, ma non va assecondata, né nel metodo né (in parte) nel merito. Nel metodo, gli strumenti utilizzati, a partire dal blocco stradale, sono gli stessi utilizzati dai movimenti per il clima, che tanto disagio hanno destato e che certamente, a dispetto delle intenzioni, non hanno contribuito a creare consenso nella società. Anzi, la loro crescita ha indotto molti governi (tra cui quello italiano) a inasprire le pene, come se questa fosse una risposta sensata. Lo stesso deve valere per gli agricoltori: un conto sono le manifestazioni occasionali, altro è il sistematico o persistente sabotaggio della vita delle persone. Quindi, non si può trattare con gli agricoltori se non partendo dall’impegno a smobilitare i picchetti. Fortunatamente questo problema in Italia ha una dimensione contenuta, anche perché nel nostro paese le principali sigle sindacali del settore in questo momento non sono in piazza – ed è un elemento significativo.

 

 

Nel merito le rivendicazioni degli agricoltori vanno viste caso per caso. Essi, infatti, difendono un modo di operare e lavorare che si è sorretto non di rado su autentici privilegi. La situazione italiana è emblematica: gli agricoltori chiedono sostanzialmente di confermare l’esenzione quasi totale delle loro attività dall’imposta sul reddito. Che in una fase di estrema sofferenza del bilancio pubblico vi siano categorie nei fatti manlevate dal contribuire all’erario, dal quale peraltro ricevono non pochi benefici e sussidi, è indifendibile. Le stesse agevolazioni sul prezzo del gasolio, anche al di là del possibile impatto ambientale, andrebbero ripensate. Il problema è evitare interventi bruschi come quelli che portarono alla marcia indietro di Emmanuel Macron di fronte ai gilet jaunes e che hanno costretto a capitolare anche Olaf Scholz in Germania. Esattamente come nel caso degli autotrasportatori, le agevolazioni andrebbero gradualmente eliminate (o quanto meno ridotte) accompagnandole con un adeguato sostegno al ricambio dei mezzi, per compensare la maggiore tassazione sul gasolio coi minori consumi. È qui che il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, andrebbe ingaggiato sulla revisione dei sussidi ambientalmente dannosi, anziché farne una clava per improbabili e inutili crociate ideologiche.
 

La difesa corporativa indebolisce anche la critica, di per sé condivisibile, all’iper-regolamentazione europea. Se gli agricoltori vogliono essere efficaci devono cercare di coinvolgere altri settori nelle loro rivendicazioni, per costruire un fronte della ragionevolezza su ambiente e clima: ma questo è incompatibile con la guerriglia urbana e con la difesa a oltranza di privilegi insostenibili.

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