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dopo il 7 ottobre

C'è un giudice all'Aia: Julia Sebutinde

Giulio Meotti

A votare completamente a favore d’Israele è la prima donna africana della Corte internazionale di giustizia

Julia Sebutinde, rappresentante dell’Uganda presso la Corte internazionale di giustizia dell’Aia, è stata l’unica tra i diciassette giudici che hanno deliberato contro tutte le misure provvisorie nel caso riguardante l’applicazione della Convenzione sul genocidio nella Striscia di Gaza (Sudafrica contro Israele). Sebutinde ha votato contro tutte le misure provvisorie proposte, distinguendosi come unico giudice permanente a farlo, in contrasto persino con il giudice ad hoc israeliano Aharon Barak, che si è opposto alla maggior parte ma ne ha sostenuto due.


La prima è la richiesta a Israele di fare “tutto ciò che è in suo potere per prevenire e punire casi di incitamento diretto e pubblico a commettere un genocidio nei confronti dei membri del gruppo palestinese nella striscia di Gaza” e poi la richiesta di adottare “misure immediate ed efficaci per consentire la fornitura di servizi di base e di assistenza umanitaria urgentemente necessari per le avverse condizioni di vita affrontate dai palestinesi nella striscia di Gaza”.“I tragici eventi del 7 ottobre 2023 e la conseguente guerra a Gaza sono sintomi di una controversia politica profondamente radicata tra lo Stato di Israele e il popolo della Palestina” scrive il magistrato ugandese nella sua opinione di minoranza. “Dopo aver esaminato le prove presentate da ciascuna delle parti, non sono convinta che sia stato dimostrato un intento genocida. La guerra non è stata iniziata da Israele ma piuttosto da Hamas che ha attaccato Israele il 7 ottobre 2023, innescando così l’operazione militare in difesa di Israele e nel tentativo di salvare i suoi ostaggi. Qualsiasi intento genocida è negato dagli attacchi mirati di Israele contro obiettivi militari legittimi a Gaza, dalla sua mitigazione dei danni ai civili avvertendoli tramite volantini, messaggi radio e telefonate di attacchi imminenti e la facilitazione dell'assistenza umanitaria. Sfortunatamente, la sofferenza e la morte vissute a Gaza sono esacerbate non dall’intento genocida, ma piuttosto da diversi fattori, tra cui la tattica della stessa organizzazione Hamas che comporta l’incorporamento delle sue forze tra la popolazione e le installazioni civili, rendendoli vulnerabili ai militari legittimi attacco”.


Sebutinde è stata sconfessata anche dal suo paese, con Adonia Ayebare, ambasciatrice e rappresentante permanente dell’Uganda presso le Nazioni Unite, che l’ha criticata. “La sentenza del giudice Sebutinde presso la Corte internazionale di giustizia non rappresenta la posizione del governo dell’Uganda sulla situazione in Palestina”. Julia Sebutinde, 69 anni, nata in Uganda quando il paese doveva ancora liberarsi del protettorato coloniale inglese, è al suo secondo mandato presso la Corte e la prima donna africana a ricoprire questa posizione. Nella sua opinione separata letta venerdì, Barak ha criticato il Sudafrica per essersi concentrato su Israele anziché su Hamas, responsabile dell’attacco terroristico del 7 ottobre che ha scatenato la guerra a Gaza. Il Sudafrica, ha detto Barak, “ha ingiustamente cercato di imputare ad Abele il crimine di Caino”. Barak, sopravvissuto all’età di cinque anni allo sterminio sistematico del 95 per cento degli ebrei del suo paese di nascita, la Lituania, perpetrato dai nazisti durante la seconda guerra mondiale, ha anche fatto riferimento alla propria esperienza di sopravvissuto alla Shoà. “Per me genocidio è più di una semplice parola: rappresenta la distruzione calcolata, ed il comportamento umano nella sua forma peggiore. È l’accusa più grave possibile ed è profondamente intrecciata con la mia esperienza di vita personale. L’idea che Israele venga ora accusato di commettere un genocidio è molto pesante, per me personalmente in quanto sopravvissuto a un genocidio”. 


Il giudice ugandese ha studiato all’Università di Edimburgo ed è stata giudice presso il Tribunale speciale per la Sierra Leone. Sebutinde viene da quelle università del Regno Unito in cui lo stato ebraico è diventato il simbolo del colonialismo occidentale (nella sua alma mater, Edinburgo, si è tolto anche il nome del padre dell’empirismo illuminista, David Hume, in odore di razzismo pure lui). Niente male, quest’unico giudice africano all’Aia, vista la perversa incarnazione di Israele in una simbolo del suprematismo bianco e dell’apartheid, che ha avvelenato quasi tutti i pozzi dell’opinione pubblica occidentale.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.