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World economic forum

Blinken a tutto mondo

A Davos il segretario di stato americano ha rilasciato un’intervista in cui ha parlato delle crisi globali, della libertà d’opinione nella diplomazia e della leadership degli Stati Uniti,  quando c’è e soprattutto quando manca

Al World Economic Forum di Davos, il segretario di stato americano, Antony Blinken, ha avuto una conversazione con Andrew Ross Sorkin, uno dei conduttori di “Squawk Box” sulla Cnbc ed editorialista del New York Times. Ne pubblichiamo ampi stralci, adattati alla lettura.

  
La conversazione è iniziata con qualche riflessione sull’incontro di Davos, poi Sorkin ha introdotto un elenco sintetico delle crisi globali e ha iniziato con una domanda su una delle rare buone notizie di questi tempi, le elezioni a Taiwan. 

Antony Blinken (AB): Ci siamo congratulati con il presidente eletto, ma anche con il popolo di Taiwan per la loro robusta democrazia e il grande esempio che rappresenta per il mondo intero. Per quanto riguarda Taiwan e le relazioni attraverso lo Stretto con la Cina, ci concentriamo su una cosa: la pace, la stabilità, nessun cambiamento allo status quo, la risoluzione pacifica di eventuali differenze. E c’è una ragione per cui questo è importante: il 50 per cento del commercio mondiale, ogni singolo giorno, passa attraverso quello Stretto. I semiconduttori prodotti a Taiwan alimentano il mondo in ogni modo concepibile: se questo flusso venisse interrotto o alterato, ne risentiremmo tutti. (…) Appoggiamo da molto tempo la  One China Policy, non cambierà, lo abbiamo ribadito. Ma, allo stesso tempo,   siamo risolutamente favorevoli al mantenimento dello status quo, per la pace e la stabilità: la Cina deve decidere che cosa farà e che cosa non farà. Ma penso che l’approccio che ha mostrato negli ultimi anni sia stato controproducente per i suoi stessi interessi. Esercitando pressioni su Taiwan – pressione economica, pressione militare, pressione diplomatica, isolamento – ha rafforzato le persone che vogliono un atteggiamento più duro con la Cina. 
Andrew Ross Sorkin (ARS): Cosa pensa del rischio di un tentativo di conquista o di annessione dell’isola  da parte di Pechino? Il presidente Xi Jinping ha detto che l’obiettivo ultimo è portare Taiwan a far completamente parte della Cina.
AB: Guarda, non voglio fare ipotesi, posso solo dirti su cosa siamo concentrati: mantenere la pace e la stabilità. Lo abbiamo chiarito molto bene con la Cina, lo abbiamo chiarito molto bene con Taiwan. Ed è su questo che ci concentriamo. Allo stesso tempo, abbiamo una relazione molto importante con la Cina, forse la più complessa e probabilmente la più determinante che abbiamo con qualsiasi altra relazione. Siamo concentrati anche su questo.
ARS: Gli Stati Uniti vogliono essere autonomi nella produzione dei chip entro il 2030. Quando ciò accadrà, Taiwan diventerà più o meno strategicamente importante per gli Stati Uniti?
AB: È in corso un importante sforzo e uno dei principali successi dell’Amministrazione Biden è  questo investimento in noi stessi, compreso il Chips and Science Act. Ma ci vorrà del tempo: Taiwan rimane vitale quando si tratta di chip, ma come ho detto, al di là dei chip, il 50 per cento del commercio mondiale passa attraverso quello Stretto ogni singolo giorno. E questo non cambierà.

Blinken spiega che le comunicazioni con la Cina sono tornate intense e ad alto livello. Poi Sorkin passa ad analizzare le crisi in corso, partendo da quella sulle prime pagine in questi giorni – il Mar Rosso –  e chiede se la reazione americana e inglese agli attacchi houthi abbia avuto successo e se la guerra in medio oriente si stia  allargando. 
AB: Innanzitutto, non abbiamo incoraggiato nessuna escalation da nessuna parte dal 7 ottobre scorso. Lavoriamo ogni giorno per prevenirla, l’escalation, anche nel Mar Rosso, e quando gli houthi hanno iniziato questi attacchi, abbiamo fatto pressione affinché smettessero. Il 15 per cento del traffico commerciale passa attraverso il Mar Rosso ogni singolo giorno – il trenta per cento delle navi container del mondo. Ci sono ripercussioni internazionali a causa di questi attacchi, migliaia di navi hanno dovuto cambiare rotta, i costi assicurativi aumentano, i tempi di spedizione aumentano. Questo è stato un attacco al commercio internazionale, alla navigazione internazionale, non un attacco a Israele, non un attacco agli Stati Uniti. Ecco perché più di 40 paesi si sono uniti per condannare ciò che gli houthi stavano facendo. Ed è per questo che altri paesi si sono uniti per dire che, se il blocco continua, ci saranno conseguenze: non per un’escalation, ma per farli smettere.


Sorkin passa a parlare della guerra a Gaza e chiede se sia possibile sradicare Hamas senza continuare a fare vittime civili.
AB: Vogliamo garantire il fatto che il 7 ottobre non accada mai più. Questo è il punto di riferimento e la misura. Israele ha fatto buoni progressi per evitare che Hamas possa ripetere il 7 ottobre. Allo stesso tempo, abbiamo detto fin dall’inizio che il modo in cui Israele persegue questo obiettivo è di vitale importanza, e questo è in particolare vero quando si tratta di vittime civili. Troppi palestinesi innocenti sono stati uccisi e chi vive a Gaza si trova in una situazione molto, molto difficile. Stiamo cercando di ottenere più aiuti umanitari per loro.
ARS: Dopo la sua visita in Israele, il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha detto: “Continuiamo la guerra fino alla sua conclusione per una vittoria totale. Nessuno ci fermerà”. Era un messaggio per lei e per gli Stati Uniti?
AB: Non posso parlare per il primo ministro, posso solo dire che fin dall’inizio abbiamo fortemente sostenuto il diritto di Israele a difendersi, il suo diritto a cercare di garantire che il 7 ottobre non accada mai più. Ma, allo stesso tempo, vorremmo che questo conflitto si concludesse il ​​prima possibile. E finché ciò non accade, vogliamo che sia fatto tutto il possibile per proteggere i civili e dare loro assistenza.
ARS: C’è una chiara divisione in tutto il paese e in tutto il mondo su come stanno procedendo gli israeliani e sul sostegno degli Stati Uniti, compreso all’interno della Casa Bianca stessa, con membri del governo che si sono dimessi. Lo speaker del Congresso, il repubblicano Mike Johnson, ha scritto su X: “Qualsiasi dipendente pubblico che si dimette dal suo lavoro per protestare contro il sostegno degli Stati Uniti al nostro alleato Israele ignora le proprie responsabilità e abusa della fiducia dei contribuenti. Meritano di essere licenziati”. Cosa ne pensa?
AB: Posso parlare riguardo al dipartimento di stato, dove diversi funzionari hanno posto domande, mostrato preoccupazione, sollevato critiche sulla strategia di Israele e sulla nostra. E voglio avere un luogo di lavoro in cui le persone si sentano a loro agio nel farlo: abbiamo un dissent channel al dipartimento che consente a chiunque di esprimere le proprie preoccupazioni: ne abbiamo ricevute diverse, le leggo una per una. 
ARS: Ma alla fine non devono appoggiare la linea del dipartimento di stato?
AB: Alla fine, devono essere al lavoro e fare il proprio lavoro. Ma la cosa principale è questa: le persone si esprimono, e questo è un elemento prezioso della nostra democrazia. E’ una parte preziosa della mia concezione del patriottismo. Se le politiche di un governo sono oggetto di obiezioni in un modo tale che chi critica non può continuare a lavorare, be’, quella è una sua decisione.


Sorkin chiede della soluzione due popoli e due stati e come ci si arriva.
AB: Prima di tutto, c’è un’equazione incredibilmente potente per il futuro di Israele, per la sua sicurezza, diversa da tutto ciò che abbiamo avuto in passato: praticamente tutti i suoi vicini arabi, i vicini musulmani, sono pronti, anzi vogliono integrare Israele nella regione. E sono pronti a fornirgli il tipo di assicurazioni di sicurezza, impegni e garanzie che non avrebbero mai dato in passato. Ma sono altrettanto impegnati in un percorso verso uno stato palestinese perché credono, e anche noi, che altrimenti non ci saranno  pace e stabilità e, per inciso, Israele non conoscerà mai una vera sicurezza. Quindi, quando metti insieme l’integrazione nella regione, la normalizzazione delle relazioni di Israele con ogni paese, assicurazioni di sicurezza e impegni, uno stato palestinese, hai creato una regione completamente nuova. In questo modo poi la sfida più grande di Israele, il problema più grande, anche per noi, l’Iran, è isolato. 
ARS: C’è bisogno di un nuovo leader dell’Autorità palestinese per farlo?
AB: C’è bisogno di riformare l’Anp. I palestinesi devono decidere da soli. Cosa desiderano di più? Desiderano soprattutto una governance efficace che possa soddisfarli. Ora, ciò richiede due cose. Richiede di per sé una governance efficace. Richiede anche che Israele sostenga un’Anp in modo che abbia la possibilità di realizzarla. Queste due cose devono convergere.
ARS: Quanto lontane sono?
AB: Nel bel mezzo del conflitto, è difficile vedere il futuro, ma penso che accadrà abbastanza velocemente. E in seguito dovranno essere prese decisioni. Ancora una volta, i paesi arabi, tra cui paesi come l’Arabia Saudita, sono disposti a fare cose nei loro rapporti con Israele che non erano mai stati disposti a fare prima. Ciò apre una prospettiva completamente diversa, un futuro molto più sicuro. Ma va risolta la questione palestinese. I paesi arabi stanno dicendo: non entreremo nel business, per esempio, di ricostruire Gaza solo per vederla livellata di nuovo in un anno o cinque anni e ci verrà chiesto di ricostruirla di nuovo. Dobbiamo affrontare anche i fondamentali. E in termini di sicurezza di Israele questa equazione è un’opportunità.


Sorkin passa all’ultima parte dell’intervista e chiede a Blinken di che cosa ha parlato con Volodomyr Zelensky in questi giorni a Davos.
AB: Oh, di sci. No, naturalmente ci occupiamo dell’aggressione russa contro l’Ucraina: mentre parliamo, i russi continuano a lanciare missili contro le infrastrutture ucraine, contro i civili, contro i palazzi. Quindi, dobbiamo garantire che l’Ucraina abbia ciò di cui ha bisogno per superare energicamente  il 2024. Dobbiamo assicurarci che al Congresso passi il finanziamento supplementare che il presidente Biden ha richiesto: c’è un sostegno bipartisan in entrambe le camere, dobbiamo solo concludere questo accordo.

ARS: Cosa succede se non si conclude?

AB: Se non otteniamo quei fondi, è un vero problema per l’Ucraina, ma anche per noi. Ma ecco di quei soldi che stiamo chiedendo, 50 miliardi di dollari vengono spesi direttamente negli Stati Uniti per acquistare materiale per la difesa dell’Ucraina: produzione americana, posti di lavoro americani. Stiamo effettivamente fornendo la maggior parte del sostegno all’Ucraina, ma è uno sforzo comune con gli alleati. E in questo momento la Russia continua a subire un fallimento strategico in Ucraina. Abbiamo un forte interesse nel far sì che questo continui. E se lasciamo che Putin se la cavi, se abbassiamo la guardia, allora apriamo un vaso di Pandora e il presidente russo non si fermerà all’Ucraina e altri aggressori in altre parti del mondo ne trarranno un insegnamento. Se Putin attaccasse un paese della Nato, l’articolo 5 dice che dobbiamo intervenire direttamente: vogliamo evitare che ciò accada. Un’ultima cosa su questo, però, importante: questa non è una guerra eterna, non è una spesa eterna. Mentre stiamo aiutando l’Ucraina a difendersi, stiamo lavorando perché l’Ucraina possa stare saldamente sulle proprie gambe dal punto di vista militare, economico, democratico. La nostra ex segretaria al Commercio, Bennie Pritzker, guida lo sforzo dell’Amministrazione per ottenere investimenti nel settore privato in Ucraina: è appena tornata dall’Ucraina con una delegazione di amministratori delegati. Le riforme che Kyiv fa  servono a entrare nell’Unione europea e ad attirare investimenti del settore privato: l’Ucraina non può solo sopravvivere, ma anche prosperare. Questa è la migliore risposta a Putin. Ed è anche la migliore risposta per noi.

Sorkin conclude la conversazione sul ruolo dell’America nel mondo.
AB: Ecco cosa ho imparato in trent’anni di questo lavoro. In primo luogo, quando l’America non è coinvolta, quando non esercitiamo la nostra leadership, o qualcun altro lo fa in un modo che non favorisce i nostri interessi e valori, o non lo fa nessuno,  si crea un vuoto che di solito viene riempito da cose negative. Ciò che sento in tutto il mondo ovunque vada è una sete, una fame, un desiderio del nostro coinvolgimento, della nostra leadership.
ARS: Dovremmo anche parlare della polarizzazione a Washington.
AB: Fortunatamente, in questo incarico, non mi occupo di politica interna. Ma abbiamo fatto due cose che sono state molto potenti e che ci pongono in una posizione di forza in cui non eravamo negli ultimi anni. Primo, come ho detto, abbiamo investito su noi stessi, e le persone lo sanno. In secondo luogo, la prima cosa che il presidente Biden mi ha chiesto di fare è stata di rimboccarci le maniche e fare in modo che tutti al dipartimento di stato facessero lo stesso, riattivare le nostre alleanze e partnership, ravvivarle, reinventarle in alcuni casi. E sono queste relazioni, queste partnership, che sono così vitali perché, così come la nostra leadership è essenziale, trovare nuovi modi per cooperare con gli altri è più importante che mai. 
ARS: Una delle questioni che gravano su Davos sono le elezioni americane. Cosa significa a livello internazionale il ritorno di Donald Trump?
AB: Come ho detto, non mi occupo di politica ma di politiche. Quindi cerco di perseguire la migliore politica estera per promuovere gli interessi del popolo americano. Parlavamo della Cina prima. Bene, uno degli accordi che è emerso dall’incontro tra il presidente Biden e il presidente Xi su cui abbiamo lavorato per mesi, che Biden ha portato a termine, è stato un accordo con la Cina per collaborare produttivamente con noi nell’affrontare il principale killer degli americani tra i 18 e i 49 anni, il fentanyl, un oppiaceo sintetico. Ora la Cina sta contrastando le aziende che producono i precursori chimici che vengono spediti in metà del mondo e trasformati in fentanyl. Questo fa una differenza reale e pratica nella vita degli americani.