Tappeti rossi per la Cina a Davos

Giulia Pompili

Il premier cinese Li Qiang arriva in cerca di credibilità. L’allarme americano e il problema col brandy europeo

Il premier cinese Li Qiang terrà il suo discorso oggi al Forum economico di Davos, poco più di tre ore prima del presidente ucraino Volodymyr Zelensky e un giorno prima del più alto rappresentante del governo americano presente, il segretario di stato Antony Blinken.  Il World Economic Forum che si è aperto ieri nella cittadina svizzera è uno degli appuntamenti più importanti della diplomazia economica cinese sin dal 2017, quando il leader Xi Jinping per la prima volta salì sul palco e disse di voler difendere la globalizzazione. In quel celebre discorso, Xi disse pure di rifiutare il protezionismo, riferendosi a quello  dell’America First di Donald Trump, che allora era  il presidente-eletto. 

A distanza di sette anni, sappiamo che l’autoritarismo di Pechino non ha protetto la globalizzazione e anzi ha usato l’arma economica per ragioni politiche e d’interesse. Ma non è un caso che la delegazione di Pechino quest’anno sia la più numerosa e di alto livello insieme a quella francese guidata dal presidente Emmanuel Macron: la leadership cinese è in cerca di credibilità per contrastare la narrazione di quelli che definisce “i profeti di sventura”, cioè chi evidenzia le gravi difficoltà dell’economia cinese. Per farlo, va nel tempio degli investitori internazionali e della politica economica globale. 

La presenza cinese di così alto livello ha allarmato l’America, tanto che secondo una notizia diffusa ieri da Politico il dipartimento di stato avrebbe tentato di organizzare un incontro dell’ultimo momento tra Blinken e qualche alto funzionario del governo svizzero per non lasciare alla Cina il posto dell’invitato d’onore. La Repubblica popolare cinese a Davos è rappresentata da dieci ministri di stato guidati dal numero due del leader Xi Jinping, e secondo l’ambasciatore americano in Svizzera, Scott Miller, “sarebbe una brutta immagine se Blinken non stringesse almeno una mano alla nuova presidente della Confederazione, Viola Amherd”. Troppo tardi: il premier cinese Li Qiang e la sua delegazione sono atterrati l’altro ieri a Zurigo, e ad accompagnarli sul treno speciale verso Berna c’era proprio Amherd: “La Cina non farà altro che aprire sempre più le sue porte al mondo esterno e accogliere sempre più aziende svizzere che investono nel paese”, ha detto Li. Klaus Schwab, fondatore del World Economic Forum, ha detto alla tv di stato cinese Cgtn che “la presenza del premier Li rappresenta alla perfezione” lo slogan di quest’anno del forum, “ricostruire la fiducia”. Ma ricostruire la fiducia con la Cina non è facile, soprattutto in Europa. La vicinanza di Pechino alla Russia di Putin, il sostegno, sebbene indiretto, economico e quello politico offerto non solo alla Russia, ma anche alla Corea del nord e all’Iran, rendono la leadership cinese poco credibile agli occhi dell’establishment occidentale. E infatti nel 2023 le esportazioni cinesi sono diminuite per la prima volta dal 2016 (-4,6 per cento rispetto al 2022) a causa del calo della domanda e l’aumento dei tassi di interesse, ma il commercio tra Cina e Russia ha raggiunto la cifra record di 240 miliardi di dollari l’anno scorso. Le leggi sulla sicurezza nazionale rendono sempre più complicato per un investitore occidentale anche solo aprire degli uffici sul territorio cinese, nonostante l’apertura sui visti da parte di Pechino. E poi c’è la guerra commerciale usata per fini politici. 

Una settimana fa il ministro del Commercio cinese Wang Wentao – lo stesso che sarà in Italia, presto, per un vertice Italia-Cina sul commercio convocato dal ministro degli Esteri  Antonio Tajani – ha aperto un’indagine su alcuni liquori di provenienza europea, soprattutto brandy e cognac francese, in una mossa che è stata definita dalla maggior parte degli osservatori come una diretta ritorsione per l’indagine lanciata dalla Commissione von der Leyen sull’afflusso di auto elettriche cinesi a basso costo nel territorio europeo. Se Bruxelles frena sull’industria cinese, i dati delle dogane cinesi mostrano che durante i primi undici mesi del 2023 l’export di veicoli cinesi in Russia è aumentato del 545 per cento rispetto all’anno precedente. 

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.