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Oltre il Mar Rosso. Il metodo Biden per evitare di allargare la guerra 

Paola Peduzzi

Gli houthi nella lista dei gruppi terroristici (vuol dire sostanzialmente sanzioni). La difesa dell’interesse comune non è una provocazione. Ma l’Europa è terrorizzata dall’escalation 

Nel 2021, a mandato appena iniziato, Antony Blinken aveva tolto gli houthi yemeniti dalla lista americana dei gruppi terroristici: in Yemen era in corso una delle catastrofi umanitarie più gravi di sempre, forse la più grave. Ieri la decisione è stata rovesciata: dopo gli attacchi degli houthi nel Mar Rosso, il gruppo “presenta le condizioni” per rientrare nella lista, che vuol dire sostanzialmente sanzioni (la misura riguarda solo il gruppo e non lo Yemen intero), che si aggiungono ai tre attacchi contro obiettivi militari legati agli houthi in Yemen condotti dagli americani e gli inglesi.

    
Alcuni esperti hanno detto che l’inserimento nella lista è stato deciso perché i blitz aerei non funzionano e anzi rischiano di essere una provocazione eccessiva nei confronti dello sponsor degli houthi, la Repubblica islamica d’Iran. Un funzionario dell’Amministrazione Biden ha spiegato alla Bbc che “queste sanzioni sono un pezzo di uno sforzo più ampio per convincere gli houthi a fermare gli attacchi terroristici che stanno attualmente compiendo”. Lo sforzo ampio comprende una coalizione di paesi che gli Stati Uniti vorrebbero larga – lo volevano fin dall’inizio, ma non hanno avuto molto seguito – e i blitz mirati alle installazioni militari da cui provengono gli attacchi: non si sa ancora quanto siano stati efficaci questi attacchi, ma le informazioni di intelligence sembrano accurate e le postazioni da cui vengono lanciati i missili sono facilmente individuabili. L’Amministrazione Biden semmai avrebbe voluto evitarli, questi blitz, e infatti li ha rimandati il più possibile, sperando che le manovre di deterrenza scoraggiassero gli houthi – che operano da un paese davvero straziato: l’utilizzo di fondi e mezzi per attaccare navi occidentali invece che per ricostruire il proprio paese rende le loro azioni ancora più fanatiche – a continuare azioni che stanno mettendo sotto pressione le catene di approvvigionamento, visto che il 15 per cento del commercio via mare globale passa da lì. Di certo, gli americani si aspettavano una reazione più pronta da parte dell’Europa, che i danni di questi attacchi li sta già sentendo visto che le navi devono fare rotte più lunghe e i tempi di consegna si dilatano. Ora si sta trovando un accordo su una missione e anche la Spagna, che si è distinta dal 7 ottobre in poi nella politica soft con gli autori degli attacchi e nella richiesta di un cessate il fuoco permanente senza condizioni a Hamas, si sta piano piano avvicinando alla linea comune – la missione deve comunque ancora essere approvata e tutti si augurano che quando dovesse diventare operativa gli houthi siano già stati dissuasi. 

  

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Ma l’Europa è terrorizzata dall’escalation e dalle provocazioni: le parole a Davos del presidente ucraino Volodymyr Zelensky sul monito continuo che si è sentito ripetere – “don’t escalate” – si adattano bene anche alla situazione mediorientale. Ogni azione americana (e inglese) viene giudicata come una possibile provocazione, quando si tratta di una reazione a una escalation, questa sì, degli houthi contro i mezzi commerciali occidentali. L’Amministrazione Biden non sa più come ripetere che evitare l’allargamento del conflitto è una sua priorità: lo ha detto fin dall’inizio anche al premier israeliano, Benjamin Netanyahu, e ai falchi che vorrebbero andare diretti alla radice del problema, che sta a Teheran. La critica principale che il Partito repubblicano (tutto, non soltanto i trumpiani) fa al presidente Joe Biden è di essere troppo morbido con il regime iraniano: questa è la posizione contraria ai terrorizzati dalle provocazioni. In mezzo c’è l’Amministrazione Biden, che dal 7 ottobre ha fatto grande chiarezza nelle sue priorità politiche, diplomatiche e umanitarie. Il consigliere per la Sicurezza nazionale, Jake Sullivan, a Davos ha detto che si impone all’America e agli alleati la necessità di fornire una “risposta comune e coerente” per evitare che “la guerra si diffonda”. In questo modo si può mostrare che “il tentativo di distruggere con la forza il sistema internazionale” viene punito: insieme.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi