Combattenti di Ansar Allah alla manifestazione anti americana della settimana scorsa (foto LaPresse)

nessuna tregua

Altro attacco nel Mar Rosso. Armi e sanzioni non bastano contro gli houthi

Luca Gambardella

Un missile colpisce una nave cargo americana. I ribelli dello Yemen resistono agli attacchi mirati e alle misure restrittive grazie a un nostro "alleato": la Turchia di Erdogan

Oggi, un missile dei ribelli di Ansar Allah ha colpito una nave cargo di proprietà americana oltre 100 miglia a sud dello Yemen. La Gibraltar Eagle non ha riportato danni seri e ha continuato la navigazione, ma il primo attacco degli houthi dopo i bombardamenti anglo-americani in Yemen conferma che l’offensiva della settimana scorsa non basta a scongiurare nuove aggressioni. E se le contromisure militari sono di corto respiro, quelle economiche spese dagli americani incontrano serie difficoltà, intralciate da colui che sarebbe un alleato della Nato: Recep Tayyip Erdogan. 

 

 

La Turchia è terra franca per i pasdaran e i loro alleati, che lì hanno creato una rete complessa per arricchirsi aggirando le sanzioni, una rete protetta proprio da Erdogan. Le ultime misure restrittive del Tesoro americano contro gli houthi sono arrivate venerdì scorso, ma come le precedenti, anche queste hanno limiti evidenti nel tentativo di bloccare il flusso di denaro gestito dal regime di Teheran.

 

Domenica scorsa, la petroliera Mehle è entrata nel Mar cinese meridionale con destinazione il porto cinese di Dongjiakou. La nave arriva da lontano. Il 29 dicembre, aveva lasciato lo Stretto di Hormuz, dove aveva ormeggiato a sud dell’Iran per circa una settimana, davanti a Bandar-e Jask, uno dei porti più usati dalle forze speciali al Quds per rifornire di armi i loro alleati nella regione, compresi gli houthi. Dal porto iraniano la nave ha fatto rotta verso la Cina. Le nuove sanzioni decise da Washington hanno colpito anche la società a cui appartiene la Mehle. Si tratta della Cielo Maritime Ltd, una compagnia di import export basata a Hong Kong. L’uomo per cui la società agisce è Sa’id al Jamal, di nazionalità yemenita ma residente in Iran. Dal 2021 è stato colpito ben tre volte da sanzioni, riuscendo però sempre a rinnovare il proprio business in modo da perseverare nel suo intento: finanziare gli houthi con l’aiuto dei Guardiani della rivoluzione dell’Iran e grazie alla connivenza della Cina, dove la nave di al Jamal fa la spola con l’Iran. Prima ancora, lo scorso 23 dicembre, un’altra tranche di sanzioni aveva colpito un’altra società di import export basata in Turchia, la al Aman Kargo, e anch’essa parte della rete di al Jamal. Secondo il Tesoro americano, la Aman Kargo ha facilitato il trasferimento di milioni di dollari destinati a finanziare gli attacchi di Ansar Allah nel Mar Rosso. Il tutto con un complesso sistema di riciclaggio del denaro che da Istanbul, dove ha sede la compagnia, andava a Sana’a, in Yemen. Gli iraniani hanno versato milioni di dollari nelle casse della società di al Jamal. A Sana’a il denaro era ripulito attraverso una rete di money transfer e arrivava agli houthi. La società fu fondata in Turchia nel 2014, qualche mese dopo che Erdogan aveva silenziato una delle indagini della magistratura più approfondite mai condotte sui legami esistenti fra le forze iraniane al Quds ed Erdogan stesso. Il presidente turco ottenne che il procuratore che conduceva l’inchiesta fosse rimosso e messo a sua volta sotto inchiesta.

 

 

Non è un caso se la settimana scorsa Erdogan ha condannato i bombardamenti degli anglo-americani in Yemen: “Questi attacchi sono sproporzionati – ha detto – E’ come se volessero trasformare il Mar Rosso in un mare di sangue”. Ma il fatto che una parte cospicua della rete di al Jamal e di altri uomini vicini al regime iraniano si concentri proprio in Turchia non deve sorprendere. Le indagini sul business illecito fra l’entourage di Erdogan e le forze al Quds risalgono a oltre dieci anni fa. Secondo lo Stockholm Center for Freedom, una organizzazione di giornalisti turchi rifugiati in Svezia per sfuggire alla repressione di Erdogan, per gli iraniani la Turchia è il paese ideale per la loro rete di traffici illeciti proprio perché lì beneficiano della protezione di Erdogan. Due anni fa, il magnate dell’energia, Sitki Ayan, consulente e amico del presidente turco, fu sanzionato dagli americani perché accusato di girare parte dei proventi derivanti dalla vendita del petrolio alle forze al Quds. Nel 2021, altre figure politiche vicine a Erdogan – l’ex ministro dell’Industria Mustafa Varank e il consulente del presidente Sefer Turan – furono accusate di lavorare segretamente con l’Iran. Anche in quel caso servì l’intervento di Erdogan per impedire che si arrivasse a un processo. 

 

“Gli Stati Uniti continueranno a combattere i traffici illeciti dell’Iran che finanziano gli houthi”, ha dichiarato venerdì Washington. Ma così come sono state aggirate fino a oggi, le nuove sanzioni rischiano di avere pochi effetti concreti. L’“alleato” Erdogan continua a difendere i traffici dei pasdaran in Turchia. E più a est, una volta attraccata al porto di Dongjiakou, è difficile che le autorità cinesi applicheranno qualsiasi misura restrittiva nei confronti della Mehle.

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  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.