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voci da bruxelles

Draghi non sarà il presidente dell'Ue, a meno che non ci sia una grossa crisi

David Carretta

L'ex presidente della Bce sarebbe perfetto per sostituire Charles Michel. Ma i leader europei si sentirebbero in ombra: servirebbe coraggio o un sussulto di umiltà europeista 

Bruxelles. Mario Draghi sarebbe perfetto per sostituire Charles Michel come presidente del Consiglio europeo. Nei corridoi delle istituzioni europee, in modo non ufficiale, il suo nome circola da tempo per questo incarico strategico per un’Unione europea che vive tempi geopolitici complicatissimi. Chi meglio di Super Mario per tenere testa dal gennaio del 2025 a Donald Trump? Chi meglio di lui per rilanciare mercato interno, competitività e investimenti? Chi per trovare un consenso attorno a un’Ue riformata e sovrana? Ieri il Financial Times lo ha incoronato come il favorito per succedere a Michel. Ma Draghi non diventerà presidente del Consiglio europeo. La sua leadership, le sue idee e le sue qualità sono il più grande ostacolo. A meno che l’Ue non si trovi immersa in una crisi profonda e i suoi leader abbiano un sussulto di umiltà europeista. 

Presidente della Banca centrale europea che ha salvato l’euro, primo ministro italiano rispettato più di tutti gli altri, Mario Draghi rimane una figura di riferimento importante e attivo per l’Ue. Dopo la sua uscita da Palazzo Chigi è stato spesso consultato da altri capi di stato e di governo. A settembre Ursula von der Leyen gli ha chiesto di preparare un rapporto sulla competitività. Venerdì Draghi parteciperà al seminario di inizio anno della Commissione. Dopo che Charles Michel ha annunciato che lascerà in anticipo il posto di presidente del Consiglio europeo, il suo nome è tornato sulla bocca di tutti. Quando, all’inizio di dicembre, Repubblica scrisse di un piano di Emmanuel Macron per fare di Draghi il presidente della Commissione, in molti a Bruxelles reagirono in modo incredulo. Perché nessuno ne aveva sentito parlare e, soprattutto, per il tipo di incarico. Il presidente della Commissione propone, ma sono i capi di stato e governo a decidere. Von der Leyen ne ha fatto l’esperienza: molte delle sue proposte più innovative – l’ultima è il Fondo per la sovranità europea – sono semplicemente state insabbiate per l’opposizione di questo o quel leader nazionale. Anche se la Commissione rimane il motore perché ha l’iniziativa legislativa, è il Consiglio europeo che pilota e schiaccia l’acceleratore.

Draghi “sarebbe l’ideale per presiedere il Consiglio europeo”, spiega al Foglio una fonte dell’Ue. C’è innanzitutto il metodo Draghi, esercitato da presidente della Bce: usare la sua autorevolezza per forzare i suoi interlocutori, anche quelli più restii, a un consenso attorno alle sue posizioni. Lo ha fatto anche a Bruxelles, da premier italiano, in più occasioni. All’inizio del mandato, quando spinse von der Leyen a un approccio più assertivo (e protezionista) sui vaccini prodotti nell’Ue che dovevano andare prima di tutto all’Ue. All’inizio della guerra della Russia contro l’Ucraina, quando si inventò la sanzione più potente di tutte, con il congelamento delle riserve della Banca centrale russa. Pochi mesi dopo, quando convinse sul treno per Kyiv gli esitanti Emmanuel Macron e Olaf Scholz a sostenere lo status di paese candidato per l’Ucraina. Nel corso di tutto il 2022, quando riuscì a superare le esitazioni di von der Leyen e della Germania sul “price cap” sul gas. Poi, c’è il pensiero europeista di Draghi, che continua a svilupparsi e a strutturarsi. Sotto di lui, la Bce è diventata la prima (e unica) istituzione federale, vera banca centrale dell’euro. Prima di andarsene da Francoforte i suoi discorsi erano incentrati sul grande balzo (“quantum leap”) nell’integrazione europea. Da premier ha costantemente promosso l’idea dell’inevitabilità del debito europeo per gli investimenti europei. A fine novembre (alla presentazione di un libro di Aldo Cazzullo) Draghi si è spinto a dire che l’Ue deve “diventare uno stato”.

Tutti questi pregi si trasformano in difetti, quando a scegliere il presidente del Consiglio europeo è un gruppo di leader in cui prevalgono interessi personali e paure politiche. “Draghi alla testa dell’Ue farebbe ombra ai Macron, Scholz, Sánchez e Meloni”, dice un diplomatico: “I capi di stato e di governo vogliono più un notaio che un leader come presidente del Consiglio europeo”. Anche il metodo e le idee di Draghi giocano contro una sua nomina. “E’ troppo politico”, ha detto al Financial Times un funzionario dell’Ue. “Il suo discorso sull’Ue che deve diventare stato non è sicuramente consensuale”, conferma un diplomatico. Le sue posizioni sul debito europeo “entrano in rotta di collisione con la Germania e i paesi frugali”, avverte un ambasciatore. Nell’ultimo ventennio, i leader dell’Ue si sono mostrati coraggiosi solo davanti al baratro della crisi dell’euro, della pandemia e della guerra della Russia. “Serve coraggio per nominare Draghi. Una crisi grave potrebbe essere determinante”, dice l’ambasciatore.

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