Il bullo di Mosca

Putin s'è goduto gli ultimi attimi dell'indecisione europea facendo quello che ha vinto

Micol Flammini

Il presidente russo si vanta dei suoi successi ma il suo alleato, se glielo concediamo, è solo il tempo

Tallinn, dalla nostra inviata. C’è il rito di contare la durata delle conferenze stampa di fine anno e delle linee dirette con i  cittadini, due momenti che quest’anno il presidente russo ha unito in uno spettacolo unico per non doversi ripetere. A Vladimir Putin piace tenere i giornalisti incollati agli schermi o alle sedie, con i cartelli in mano, per avere l’occasione di fare la domanda. Lo scorso anno il rito è saltato, c’era poco da dire: quando, le cose non vanno bene, Putin non sente di dover dare spiegazioni. Ma oggi, il presidente russo, senza il bisogno di dire nulla, si è esibito in quattro ore di calma e di vuoto per dire che tutto va secondo i piani. E’ stato un ritorno, il primo dal 24 febbraio 2022. Putin ha ribadito che i suoi obiettivi non sono cambiati, ma è pronto a fare la pace. Lo dice spesso, ma non lascia spazio alle incomprensioni, vuol dire che per lui la guerra finirà quando l’Ucraina sarà sottomessa, aspetta soltanto che qualcuno abbocchi, magari a Bruxelles, dove si litiga, o a Washington dove si aspetta. La  guerra vecchia maniera va quindi avanti, secondo il presidente russo, fino a quando l’Ucraina sarà costretta a cedere. Quel momento Putin lo attende, nel frattempo però è periodo di campagna elettorale senza oppositori e quindi ha escluso una nuova mobilitazione: ci sono migliaia di persone che si presentano volontarie ogni giorno, ha detto, non c’è bisogno di costringere nessuno. La Russia ha forza e ha armi, ma non le bastano per vincere la guerra. A rendere Putin così calmo mentre risponde alle domande sono le lotte europee e le elezioni del prossimo anno, la guerra tra Israele e Hamas, il voto americano e il costo delle decisioni di Biden. 

 

Anche i viaggi della scorsa settimana in medio oriente gli hanno fatto tornare fiducia nella sua leadership, gli hanno fatto anche passare la paura di usare gli aerei, mezzo su cui si sentiva molto insicuro, pensava che i nemici lo avrebbero raggiunto. Ora non ha queste ossessioni, e oggi davanti ai russi che lo osservavano, nel teatro dei questuanti che lo ringraziavano per la decisione di ricandidarsi, ha esposto il volto del leader determinato ma non urlatore, del leader sorridente mentre la Russia è inondata da immagini di Volodymyr Zelensky con l’aria tesa durante i discorsi preoccupati o infuocati. E’ il modo per mostrare il presidente ucraino isterico, agitato e pericoloso. Putin ha giocato a mostrare il contrario. Ha proposto all’Europa di tornare amici, al mondo di schierarsi contro gli Stati Uniti, agli ucraini di arrendersi. 

 

Eliminato Evgeni Prigozhin, messi in galera gli oppositori, lo spettacolo di un occidente in litigio ha dato a Putin una grande spinta. Il suo regime appare solido, attorno a sé ha un circolo ristretto di cui dimostra di fidarsi e che porta avanti i suoi stessi interessi. La trasformazione dell’economia russa in economia di guerra per il momento ha pagato e Putin oggi si è vantato del successo. Lo è stato, ma non potrà durare per sempre, è un sistema di ricchezza che prima o poi arriverà al collasso. Ha ribadito che c’è una cosa di cui si fida in modo particolare: il tempo. Ha confessato di credere nella perseveranza dei russi ed era un modo di dire che nessuno per ora lo toccherà. Nel suo parlare lento e determinato, ha lasciato capire quello che le intelligence occidentali, soprattutto dei paesi che con Mosca condividono i confini, ribadiscono da qualche tempo: per Putin è un buon momento, ma ha soltanto un argomento, ed è proprio il tempo. E’ quello che va attaccato per non lasciarlo vincere, e quello che è accaduto oggi a Bruxelles, con il via libera ai negoziati per l’adesione dell’Ucraina, è stato uno splendido inizio. C’è una similitudine che gira negli ambienti militari di alcuni paesi freddi, che è rude ma calzante: l’economia, il tempo, la quantità di uomini, non è così che si vince, è come cercare di scaldarsi buttandosi acqua calda addosso – la versione originale parla di pipì – hai un sollievo che può durare un po’, poi diventa ghiaccio.

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.