le reazioni

Dopo la morte di Prigozhin quale sarà il futuro della Wagner

Micol Flammini

La compagnia dei mercenari ha promesso vendetta, ma in questi mesi è stata depotenziata, è rimasta senza capi, confinata in Bielorussia. Neppure gli affari africani sono più una garanzia di impunità

Quando Evgeni Prigozhin aveva lasciato Rostov sul Don, i cittadini si erano accalcati attorno alla sua macchina per salutarlo. In sostegno della Wagner, che il 23 giugno aveva iniziato quella che Prigozhin stesso aveva chiamato “marcia della giustizia” per chiedere di cacciare il ministro della Difesa Sergei Shoigu e il capo di stato maggiore Valeri Gerasimov, erano apparse per la città alcune scritte, dicevano: è solo l’inizio, siamo tutti Wagner. L’oppositrice russa Anastasia Shevchenko, che vive a Vilnius ma è originaria di Rostov e nella città della Russia meridionale ha ancora molti contatti, aveva detto al Foglio che quelle immagini non indicavano tanto il sostegno dei russi alla Wagner, quanto la loro stanchezza per Vladimir Putin: tutti tranne il presidente russo. Di quei tutti, Prigozhin era diventato il più esplicito, inaspettatamente. Di quei tutti, i mercenari al suo seguito erano diventati la rumorosa garanzia di un'alternativa in grado di minacciare il Cremlino con armi e propaganda. La scorsa settimana, Putin si è proprio recato a Rostov, dove ha avuto inizio l’ammutinamento, dove due mesi fa Prigzohin conversava con i soldati che non avevano bloccato il suo ingresso. E ad accogliere Putin c’era proprio Valeri Gerasimov. 

 

I primi a dire che Prigozhin è morto in aereo sono stati proprio gli uomini della Wagner. Il canale principale a cui la compagnia fa riferimento, Grey Zone, Zona Grigia, aveva prima confermato che l’aereo apparteneva al capo dei mercenari, poi che era tra i passeggeri, poi la morte. I combattenti hanno promesso di organizzare una seconda marcia su Mosca, questa volta di successo, fino al Cremlino. Gli uomini che in questi due mesi si sono trasferiti in Bielorussia e hanno iniziato a costruire due campi di addestramento, ieri sono rimasti a lungo senza internet e poi in un video hanno detto: “aspettateci”. Secondo le notizie che arrivano da Minsk, il regime di Lukashenka ha cercato di isolare i combattenti, e il dittatore bielorusso oggi, anziché commentare la morte di Prigozhin al quale aveva offerto protezione e di trasferirsi in Bielorussia nel nome della loro amicizia di lunga data, ha fatto gli auguri a Kyiv per il giorno dell’Indipendenza. 

 

In questi due mesi che separano l’ammutinamento dallo schianto dell’aereo di Prigozhin, il capo dei mercenari ha tentato di farsi spazio, di dimostrare che i suoi combattenti erano ancora indispensabili, ha anche cercato di assumersi se non la paternità sicuramente l’ispirazione del golpe nigerino a luglio, dal quale il Cremlino ha preso le distanze. I suoi uomini costruivano il loro campo in Bielorussia, ogni giorno minacce e disinformazione raccontavano di loro piani di andare in Ucraina, in Polonia, in Russia. Ma di fatto la compagnia era ferma nel paese governato da Lukashenka. Lo spazio dei combattenti si è ridotto, il gruppo editoriale di Prigozhin, Patriot, era stato lentamente smantellato, i suoi beni espropriati con tanto di ludibrio pubblico: le foto della casa del lusso e dei travestimenti bizzarri fuori San Pietroburgo erano state pubblicate dai servizi russi. Dopo il tentato golpe, l’accordo mediato da Lukashenka proponeva o di entrare a far parte dell’esercito russo o di rimanere in Bielorussia. Prigozhin ha detto che Minsk era una fase transitoria, e nell’ultimo video registrato dal Mali lunedì – il tracciamento dei voli dimostra che un aereo privato è effettivamente partito dall’Africa alla Russia – il capo dei mercenari aveva detto che stava cercando nuovi uomini per occuparsi degli interessi russi in Africa. 

 

La compagnia non ha i mezzi, non ha i capi e forse ormai neppure gli uomini per organizzare una vendetta contro il presidente, che in questi mesi ha lavorato per depotenziarla, ma non si sa come abbia pensato di sostituirla. Gli affari che la Wagner copriva in Africa sembravano essere la garanzia di impunità del gruppo e di Prigozhin, ma per Putin, che in un video ha detto di perdonare tutto fuorché il tradimento, la spettacolarità di una punizione vale più dei suoi progetti internazionali. 

 

Ieri, di fronte al Centro Wagner a San Pietroburgo, alcuni cittadini hanno costituito un piccolo memoriale, sulla facciata dell'edificio, le luci sono state accese in modo che formassero una croce

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.